Brevi racconti liberi

Il tubo cominciò a gonfiarsi nelle prime ore pomeridiane e continuò, infido e silenzioso, per tutto il pomeriggio. Era un tubo da 25, cioè aveva un diametro di 25 cm., e affiancato dal condotto dell’ aerazione, attraversava la sala per tutta la lunghezza.
Era stato destinato a trasportare per così dire, rifiuti cioè … insomma portava merda, raccoglieva materiale da tutti i cessi dei piani superiori e la convogliava all’ esterno.
Perchè mai, per svolgere questo compito, dovesse attraversare la sala del Consiglio dei professori era una domanda che pochi si erano posti fino a quel momento ma sarebbe stato proprio questo l’ interrogativo di tutti all’ indomani della catastrofe.
La risposta più accreditata sarebbe stata che l’ impianto fognario era stato progettato da un ex alunno della scuola che, in maniera pesantemente simbolica e allusiva, aveva voluto far passare quel fiume di evacuazioni proprio nella sala del Consiglio dei professori e che costui era al momento irrintracciabile e che…..
 
Ma andiamo con ordine.
 
Alle ore 17 Guido, cioè il Prof. Fiorelli con le palle stracciate dalla fluente prolusione della Preside, alza gli occhi al cielo per trovare conforto e chi ti incontra?
Il tubo da 25 che, gonfio anche lui, emette un impercettibile sibilo di solidarietà.
Ora dovete sapere che Guido, il Prof. di Fisica è un tipo lento e prudente e non da’ mai nulla per scontato, meno che mai un allarme, prima di aver controllato. E allora…
E allora, mentre si chiede se un tubo di Eternit, sia o no elastico e comunque … mentre si convince che non è possibile che si sia gonfiato sino a raddoppiare di volume, e …mentre si pulisce gli occhiali per vederci meglio … il tempo fa quello che fa di solito: “ passa”, e la situazione diventa del tutto irrimediabile.
Con gli occhiali puliti mette a fuoco il tubo e gli pare anche di vedere un accenno di crepa.
A quel punto ha capito tutto, potrebbe alzarsi e chiedere la parola ma come si fa ad interrompere la Preside con un discorso di merda?
E allora rivolge un ultimo affettuoso sguardo alla Bargelli, la timida Prof.ssa di Arte, timida e profumata nel suo abitino bianco candido.
 
*      *      *
 
Le cronache parlarono di un’ enorme onda di liquami che invase la sala, si raccontò anche del fatto che il condotto di aerazione, seriamente danneggiato, contribuisse a spruzzare il prodotto dappertutto e riuscisse a creare allegri vortici di liquami a mezz’ aria.
I racconti studenteschi furono prodighi di particolari sulle caratteristiche fisiche e chimiche del “ composto cremoso “ – dissero alcuni – ” semiliquido con inclusioni semisolide e pezzettini di carta igienica macerata “ – dissero altri.
Pareri discordi, ma tutti concordarono sul fatto che era stato: "un grande e gioioso tripudio di merda".
I racconti indugiarono sul fatto che nessuno dei componenti del consiglio osasse emettere alcun suono, vuoi perché era pericoloso aprire qualsivoglia orifizio, vuoi perché ancora si sperava di poter tenere sotto silenzio
l’ imbarazzante accaduto almeno fino a quando, essendo ormai la sala piena sino a mezza gamba, il prodotto semi liquido, o forse quasi cremoso cominciò prima a tracimare, poi a ribollire straripando per il corridoio e per le finestre.
A quel punto Eugenio, il bidello, intuito che qualcosa non andava per il verso, tentava di aprire la porta della sala del consiglio e, dopo vari tentativi di vincere la pressione dell’ onda melmosa e nauseabonda, riusciva a liberare il corpo docente.
Ancora oggi, e ne é passato di tempo, rimangono vividi il ricordo ed il greve odore; ed é solo per questo che i professori del liceo “ Del Vecchio “ puzzano.
Mica perché sono dei pezzi di merda.
Pietro Gigliotti III A
 
*      *      *
 
 
Ore 10,30. E’ il momento dell’ intervallo.
Colletti azzarda un pizzico sul culo della Schettini, Martini si abbuffa di pizzette e il Bamba è chiuso nel cesso ad abbrutirsi nel fumo. E’ un frangente particolare.
I tre migliori amici di Pietro non possono assicurargli l’ adeguata copertura ed allora non devo farmi sfuggire l’ occasione. Quei quattro mi credono uno stronzo fastidioso, io, invece, li tratterei correttamente se non fossero così puzzoni.
Insomma viviamo un banale rapporto studente/professore.
Oggi Gigliotti è fortunato, sono di buon umore e non ho voglia di pasticci, e poi è puzzone ma scrive bene e non sarò io, illuminato e progressista, a censurare un’ opera dell’ intelletto.
Si comincia sempre così. Si censura un puzzone, poi uno meno puzzone e si finisce per censurare anche gli scrittori profumati. Piuttosto lo prendo illuminatamente a calci in culo.
     – Gigliotti, vieni un attimo in biblioteca che facciamo due chiacchiere a quattrocchi.
Ogni studente di questa scuola ha il diritto di avere lo sguardo ebete e insignificante che vuole, ma oggi Gigliotti sta esagerando. Devo stare calmo.
                 –   Detto tra noi, Pietro, che cazzo hai scritto nel tema?
       Si, lo so che non si dice cazzo ma un Prof. che dice cazzo abbatte le     barriere   con lo studente e gli si avvicina.
Pietro comincia a nasare qualcosa e rincula come un gambero.
– E comunque non fatemi storie. il Prof. sono io, e che ognuno rimanga al proprio posto.
– Ce l’ aveva detto Lei che potevamo scrivere qualunque cosa. Il titolo del   tema diceva:
" Raccontate un fatto …
– Raccontate un fatto immaginario con ricchezza di particolari.
– C’ erano pochi particolari?
“ Sei un lurido verme schifoso travestito da studente e se ti permetti di atteggiarti a scrittore ti faccio accomodare dove meriti e tiro la catena. “
Questo è quanto vorrei dirgli e questo, invece, è quanto opportunamente mi viene fuori:
– Fai poco lo spiritoso, Pietro. Ma è mai possibile che odi la scuola fino a   questo punto?
– Era solo uno scherzo letterario.
È il " Letterario “ che mi disturba ma faccio finta di niente.
Però faccio fatica a far finta di niente. Passi per il mare di liquami ma io che centro? E la povera Silvana ?
Gli ha anche messo il vestitino bianco per aumentare l’ orrore.
Insomma devo dimenticare e resistere. Anche questo è scritto nel mansionario.
– E ti può costare caro questo scherzo, se lo sapesse la Preside sarebbero guai. Potresti essere espulso da tutte le scuole a sei mesi dal diploma.
– Per favore, Prof. non mi faccia paura, era solo uno scherzo.
Lo dice con convinzione e io quasi ci credo. Va a finire che oltre che scrittore si vuole anche dare arie da attore. Comunque, se sta mentendo, è bravo il verme.
– Basta con le chiacchiere, Pietro. Tu oggi pomeriggio rifai il compito…
– Oggi pomeriggio ho la semifinale di Basket.
– Te la scordi. Oggi pomeriggio tu rifai il compito e domani, prima delle   otto, me lo porti qui in biblioteca.
 Se lo fai con lo stesso impegno col quale hai fatto quello schifo, io sostituisco il compito, ti do quattro e per
 questa volta te la cavi.
Perché poi gli avrò fatto questa proposta? E’ mai possibile che noi Professori dobbiamo aiutare sempre i peggiori ?
– Quattro? Se vado bene mi da solo quattro?
– Si, ma se non sei d’ accordo possiamo lasciare le cose come stanno e la   Preside deciderà cosa…
– Accetto. Accetto.
Ha accettato. È ebete e lento ma quando si tratta di salvare il culo è scattante il verme.
– Bene. Acqua in bocca e buon lavoro, ci vediamo domani.
 
Ps. Gigliotti non si presentò. Ma 17 anni dopo vinse il “ Bancarella “            
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I racconti che seguono sono tratti dal libro: “ La cucina degli orrori “ di Eltore Elica
                          Qui pubblicati per gentile concessione della Editrice Panini-Comix
                       
                           Ndr:     È il libro più fetido che abbia mai scritto ma è bellissimo. Conviene comprarlo.
 
 
 
 
Il racconto del Rag. Ansaldi:
 
" Difficilmente riuscirò a dimenticare quella cena.
Era Dicembre, Martedì 7 Dicembre ed eravamo seduti in quattro ad un tavolo di un noto ristorante lombardo.
Si comincia dal leggero profumo del centro tavola: Fiori dicampo di una primavera ancora lontana da venire.
Si passa ad indugiare sulle linguine al limone, tenui e delicate come gli occhi di Serena.
Poi ci aspetta la fragranza del prosciutto al forno nel momento in cui la crosta di pane viene spaccata e il vapore trova sfogo.
Tutto inutile, tutto avvolto, sovrastato, annullato in modo arrogante dall’ odore della signora bruna e prosperosa che mi sedeva dinanzi.
Un odore aspro e deciso, un odore umano che l’acqua di Colonia e il detergente intimo non riuscivano a tenere a freno ma solo a rendere più volgare.
Pronunciava poche parole la signora, più che altro assentiva ai discorsi degli altri commensali: Ipocrita, il suo odore manifestava tutta la sua contrarietà e il suo astio.
Si sorrideva e si celebrava l’ottima bottiglia di rosso mentre eravamo costretti ad assaggiare la signora sin nei più reconditi anfratti, a degustarla sfogliandola con la mente e con la lingua, pieghina di pelle dopo pieghina, costretti a respirarla e, infine, a deglutirla.
Grande cucina quella lombarda.
 
 
 
 
 
Le ragioni della Sig.ra Gandolfi
 
Puzzava. Il ragioniere Ansaldi puzzava fortissimo.
Passi che una moglie debba seguire il marito nelle cene ufficiali ma non era nei patti che io, tutta la sera, dovessi respirarmi il ragioniere Ansaldi.
O meglio una parte del ragioniere visto che credo di aver capito che quel mefitico odore proveniva dal suo piede destro.
All’inizio ho pensato che avesse pattinato lungamente su merde di cane ma poi ho notato che parlando aveva l’abitudine di far uscire dal mocassino il calcagno e di rituffarlo dentro dopo qualche istante.
Era il ritorno del calcagno nell’alveo della calzatura che produceva, come uno stantuffo, la fuoriuscita di un soffio d’aria pestilenziale, dal sapore umido e prepotente. Fflut.
Si, sapore, visto che per una disgraziata coincidenza un mio ampio e profondissimo respiro si É accordato col soffio puteolento, mi è entrato in bocca e ha ricoperto le gengive ha intriso la lingua ed è colato, mellifuo, lungo la gola sin nelle profondità dei bronchi.
Sono rimasta a bocca aperta, terrorizzata che un movimento della lingua potesse trasmettermi orrifiche sensazioni gustative.
E i commensali lo hanno preso per un sorriso di assenso alle loro stronzissime osservazioni.
Poco male e poi a dire la verità mi aspettavo di peggio.
Il ragioniere Ansaldi può anche piacere. É una questione di abitudine.
 
 
 
 
 
 
 
La verità del Sig. Gandolfi
 
 
Le sue mefitiche scorregge ce le avrebbe potuto risparmiare quella sera.
Menomale che l’amore mio riusciva ad attutirne il suono e a non farle squillare come un allegro strombettio.
Però quelle allegre puzzettine di tanto in tanto, saltavano con irriverenza sulla tovaglia, zampettavano tra i bicchieri e finivano per tuffarsi nel piatto da portata più colmo, Tre flatulenze nell’insalatiera del radicchio, due nella zuppiera del brodo che acquistò un aroma misterioso e quattro, troppe, che si installarono nella zuppa inglese.
Ariette leggere dell’amore mio, del micino mio che ama tanto il micione suo.
Comunque nessuno se ne è accorto almeno fino a quando un soffio prepotente, indomabile e tenorile si è insinuato nei tessuti degli indumenti intimi di Silvana, facendoli vibrare a dismisura come un organo in una cattedrale gotica.
Un fremito ha percorso Silvana, l’ha fatta tremare scuotendola ma i commensali erano tutti intenti a trattenere la tovaglia che s’involava a mò di bandiera.
Forse qualcuno ha intuito ma nessuno avrebbe osato dire al Ragioniere Ansaldi che sua moglie soffia come Moby Dick e comunqe al mio paese si dice: " Tromba di ‘ulo sanità di ‘orpo".
Controllare, signori, controllare.
 
 
                     
 
 
 
La testimonianza di Francesco, il cameriere.
 
 
Non posso lamentarmi del lavoro. Il locale è rinomato e frequentato da gente signorile. Anche il titolare è persona affabile e comprensiva ma ci sono certe sere che penso seriamente di chiedere una congrua indennità o addirittura di andare via. L’ultima É stata l’altro mese, Martedì 7.
E’ stata una serata terribile e soprattutto imprevedibile.
Per noi camerieri il Martedì èuna giornata di tutto riposo, pochi tavoli e gente tranquilla ma il servizio a quel tavolo da quattro mi ha prostrato. All’inizio tutto sembrava normale, due coppie discrete e vestite elegantemente, sembrava una cena ufficiale tra colleghi di lavoro.
E’ stato quando ho servito il prosciutto in crosta che la situazione è precipitata.
Una puzza nauseabonda e violentissima ha avvolto il tavolo.
Per un attimo ho creduto ad una flatulenza apocalittica del signore in abito scuro, quello che tutti chiamavano Ragioniere.
Ma avvicinandomi a sua moglie mi è parso che che l’aria fosse più irrespirabile ancora. Avevo ormai quella puzza nell’anima andavo e venivo dalla cucina solo per prendere fiato, un vero servizio in apnea.
E loro? Loro sorridevano e conversavano, solo leggermente tesi.
Quando i clienti del tavolo a fianco hanno chiesto di cambiare posto ho temuto che la situazione precipitasse perchè i quattro si sono voltati e, per un attimo ho pensato che avessero capito.
E’ durato solo un attimo, qualche sguardo per chi si allontanava che oserei dire quasi comprensivo e poi tutto è tornato normale, se É normale essere avvolti da una nebbia spessa che avvolge e impedisce la vista.
Ad un certo punto mi è sembrato di avere la bocca impastata da quella puzza mefitica e pesante e ho aperto la finestra che era poco distante.
Ho dovuto richiuderla, subito, perchè, per una ventata improv visa la tovaglia si è gonfiata e si è involata sulle teste dei clienti che hanno fatto fatica a trattenerla. Mi sono scusato e ho richiuso.
Strano, dalle nostre parti a Dicembre non si muove un filo d’aria.
 
 
 
Le accuse della Sig.ra Ansaldi
 
Una sera come quella, mai più, mai più. Hanno offeso la conven zione di Ginevra contro l’uso dei gas sui campi di battaglia, figuriamoci sulle tavole.
Era la Gandolfi e suo marito. Le brune puzzano sempre soprattutto se sono stitiche, sarà che il materiale fecale se trattenuto a lungo nelle viscere, si macera di più e passa il suo odore alla pelle che trasuda fetori puzzolenti.
Aveva ragione Giulio non poteva essere che lei. Ci ha intossicato e ha rovinato i nostri abiti: settecentomila lire di lavanderia.
Quell’odore ci è entrato sin nell’anima e io, il giorno dopo ho dovuto fare la comunione.
Quando si sta così non si esce, si sta in casa e si chiudono bene porte e finestre.
 
 
 
 
 
La confessione dello Chef: Oreste…….
 
 
Devo studiare di più, stasera me la sono vista brutta.
Per un attimo ho temuto di essere stato scoperto e tutto per sette od otto goccioline di aceto in meno.
La cucina orrifica è una cucina perfetta che non permette errori.
E poi la cottura in crosta esalta a dismisura le fragranze ma anche le incertezze di preparazione.
L’errore É stato nella crema che avvolgeva il prosciutto.
Ogni etto di sterco di cane deve essere sempre stemperato con sette gocce di aceto balsamico per fare in modo che perda la sua aggressività fecale.
La cottura in crosta o in cartoccio trattiene e quindi concentra gli odori ecco perchè la rottura della crosta ha procurato un attimo di smarrimento.
Devo stare più attento, un altro errore come questo e perdo il posto di Chef.
Il titolare non ama la cucina orrifica.
 
 
 
 
Cultura di merda
 
 
Le deiezioni umane ed animali hanno nella cucina orrifica un posto importante anche se non preminente.
Dall’esotico Guano, alla eterea Colombina, dalla divertente Pecorina alla grezza Pollina tutte queste deiezioni hanno un impiego particolare dovuto sia al caratteristico sapore sia alla composizione chimica.
Le feci della gallina contengono grandi quantità di anidride fosforosa, vero fertilizzante dell’intelligenza.
Accresce invece poco le nostre facoltà mentali il nutrirsi di feci di oca e di anatre che di fosforo ne contengono
pochissimo.
E questo lo avevamo sospettato.
Le feci delle pecore, oltre che essere di forma giocosa, apportano grandi quantità di sali minerali e agiscono come idrorenitenti, cosa apprezzabilissima durante la stagione estiva.
E’ la colombina che con la sua ricchezza di elementi consente di far volare il nostro cervello, rendendolo leggero e funzionale.
Discorso a parte merita il Cessino, cioè l’insieme delle deiezioni solide e liquide dell’uomo.
Hanno scarsissime quantità di fosforo, pochissimi sali minerali ed un eccesso di cloruro di sodio, insomma sono una vera merda se non fosse che il loro uso nella cucina orrifica è stimolato dall’elemento culturale.
Mangiare la Pollina è un po’ come mangiare una gallina, niente di culturalmente stimolante.
Mangiare il Cessino di un condominio residenziale consente di assaggiare due o tre ragionieri, qualche giornalista e come minimo un militare. Non male.
Con l’esperienza poi, rovistando nei pozzi neri, sarete in grado di distinguere le varie abitudini alimentari, il calibro degli sfinteri e, cosa utilissima, la presenza di germi patogeni nelle feci trattate.
A queste quattro chiacchiere aggiungiamo che le varie forme di merda vanno di solito incartate in sfoglie di pasta sottile a mo’ di tortellini, cappelletti, ravioli, agnolotti ed altro.
La ricca cucina regionale vi soccorrerà nel tiraggio della sfoglia.
Qualunque merda tratterete ricordatevi di trattarla con rispetto, di accarezzarla con la forchetta e di lavorarla con amore fino a renderla una crema pastosa.
Solo a quel punto potrete aggiungere, a vostra scelta i suoi naturali compagni di viaggio: Il battutino di aglio e cipolla, le goccioline di aceto balsamico, le stille di olio tartufato, la mollichina imbevuta di latte, la scaglietta di grana.
Troppo snob scandalizzarsi.
Come sapete, quasi tutto può andare a finire nella merda.
 
 
 
 
 
FABIANO E’ UN PORCO
( uccidere un amicizia )
 
 
 
Era finalmente sera, la fine di una giornata calda e faticosa.
Seduto sul letto, cominciava a pregustare il momento tanto atteso.
Guardava gli scarponi militari che gli soffocavano i piedi, e anche gli spessi calzettoni di lana bianca.
Non era un abbigliamento usuale per un impiegato e questo l’avevano notato tutti, anche perché erano i primi giorni di un Luglio caldissimo e afoso.
Una giornata intera a respingere la curiosità e la disapprovazione di tutti, a resistere al tormento opprimente dei piedi stretti in quella umida morsa.
Ma non avrebbe potuto fare altrimenti, Fabiano andava punito, il suo ex amico, il porco puzzolente e ruttante, doveva pagarla cara.
L’unico sollievo era il pensiero del ritorno a casa, di quando si sarebbe slacciato gli scarponi, allora i piedi avrebbero ricominciato a respirare e finalmente avrebbe iniziato la raccolta.
Il primo scarpone era appena sfilato che già dai calzettoni bagnati si andava spandendo per la stanza un odore di sostanze macerate.
Era un odore nauseabondo che riempiva i polmoni ma per lui aveva il profumo inebriante della vendetta.
Sfilò il calzettone sudato con una certa fatica, ma dovette fare con calma perché quello era un momento delicato e non poteva permettersi di sbagliare.
E il piede ora era nudo, bagnato e violentemente olezzante.
Bisognava asciugarlo senza toccarlo. " Il phon, devo usare il phon ".
Asciutto in due minuti. Poteva cominciare.
Si portò il piede in braccio e, delicatamente schiuse le prime due dita.
La vide subito, una pallina leggermente ovalizzata riposava nell’incavo, dall’odore mefitico, quasi tartufato, una vera perla nera.
Pensò che quella pallina era una vero concentrato di sapore e la trattò con tutti i riguardi.
La raccolse delicatamente con una pinzetta e la adagiò su una carta stagnola. Lui lo sapeva che le prossime dita avrebbero incrementato notevolmente la raccolta e la previsione fu esatta.
Un esemplare di caccola semplicemente maestoso sbocciò dal secondo alveo. Fece fatica a catturarlo con le pinzette perché, date le dimensioni, dovette divaricarle al massimo e fu allora che si accorse che si trattava di un esemplare pastoso al punto giusto, quasi cremoso.
Ne fu contento e accellerò la raccolta: dieci dita, cioè otto incavi, otto preziosissime perle di sapore.
Poi la corsa in cucina, la leggera nevicata di zucchero a velo che avvolge le perle e custodisce la fragranza, un soffio per spolverare la polvere in eccesso e, con cura, con molta cura la disposizione in un piccolo piattino di porcellana bianca, quasi un ikebana: otto piccoli saporosi bombons.
Poggiava il piattino sul tavolo e poi di corsa nel letto, Fabiano stava per ritornare.
Fischiava sempre, il porco goloso, quando tornava a casa.
Forse era stata con Tiziana, quella stronza, anzi sicuramente.
Fischiava, fischiava, poi il fischio si interruppe e Fabiano si chiuse nella sua camera schioccando la lingua.
Lui si alzò in fretta e corse in cucina. Gli bastò un’occhiata: il piattino di porcellana era bianco e vuoto.
Fabiano è un porco.
             
             
Ed ecco la ricettina
 
BOMBONS DI CACCOLE DI PIEDE ACCALDATO
 
 
 
Ingredienti: Otto caccole interditali di medio calibro
Zucchero a velo o liquirizia in polvere
Qualche goccia di Gin
 
 
 
Preparazione
 
 
Raccogliete le otto caccole badando ad eliminare eventuali peli di calzini e, soprattutto a non ovalizzarle eccessivamente e, se troppo secche, fatele rinvenire con una goccia di gin, adagiatele poi su un lettino di polvere di liquirizia provvedendo a rotearle fino a che non siano completamente ricoperte.
Spolverate la polvere in eccesso e servite con un bicchierino di nocino umbro.
Il successo del piatto è dovuto principalmente alla freschezza delle caccole e all’accaldamento del piede che, se non lavato da tempo, conferisce corpo al sapore della pralina.
Si propone anche con un Mirto di Gallura.
 
 
 
 
 
IL BAR DEI MANCINI STUPIDI
 
 
Capita, capita per fretta o per necessità ma ciascuno di noi, periodicamente diventa cliente del bar dei mancini stupidi.
Si entra spinti dal desiderio di fare una ricca colazione, un succulento spuntino poi, dopo un rapido sguardo intorno, capiamo, capiamo perfettamente.
I bicchieri sono sporchi, opachi, quasi smerigliati e quindi addio spremuta di frutta. I cucchiaini sono all’altezza della situazione: sono incrostati di un qualcosa che solo in parte è zucchero; le paste sono tutte " sedute " come se fossero stanche, la fetta di prosciutto cotto aderisce troppo alla fetta di pane e poi presenta un alone di colore conosciuto ma che non riuscite a ricordare.
Il barista perde i capelli, succede, ma dovrebbe evitare che cadano nella zuccheriera, pensiamo che nello zucchero possiamo tollerare solo la forfora dell’esercente che del resto è copiosa e solo per il fatto che essendo bianca si mescola bene con il saccarosio semolato e occhio non vede cuore non duole.
E poi il barista sputa quando parla e anche in questo caso la zuccheriera è generosa e per festeggiare l’avvenimento crea tante piccole palline di zucchero intorno alle particelle di saliva.
Quando gli osservate il colore delle mani vi ritorna in mente l’alone del prosciutto cotto e capite.
E’ a quel punto che decidete di guadagnare l’uscita ma è troppo tardi, il barista del bar dei mancini stupidi è un essere dotato di una velocità pari solo alla sua sporcizia e, uscendo da una porta dalla quale fuoriesce imperioso il rumore dello sciacquone del water, dice ad alta voce:
Il signore desidera ?
E adesso provate a scappare, non potete più.
Ripassate in mente la consumazione che meno sarà manipolata dall’orco puzzolente ma quando i bicchieri sono in quello stato neanche una bibita tappata vi può salvare e poi non potete continuare ad esitare: Un caffè.
Bravo cretino, è vero che è sterilizzato dalla temperatura ma ti sei dimenticato della tazza.
Guardale le tazze. Hanno il segno del caffè, quello del rossetto delle signore se non peggio ma…..
Conviene ragionare e lo fate. In Italia il cinque per cento della popolazione è mancina, come dire che se volto la tazza e bevo con la sinistra ho il novantacinque per cento delle probabilità di evitare di baciare l’avventore di prima.
Soddisfatti, per dimostrare a tutti e soprattutto a voi stessi la vostra improvvisa mancinità, impugnate con la mano sinistra il cucchiaino, scansate nella zuccheriera i capelli del barista.
No la forfora no, ve l’ho già detto è impossibile da scartare.
Mescolate e impugnando la tazzina con la sinistra buttate uno sguardo di furbo compiacimento al resto degli avventori.
Sorpresa, bevono tutti il caffè con la sinistra. Come? Tutti mancini? No, tutti falsi mancini e tutti cretini.
 
 
 
 
 
GLI ESERCIZI DELLA ZONA LIMBICA
 
 
 
Granitiche erezione di membri maschili quanto timidi sbrodolamenti vaginali si trasformano in impetuosi torrenti.
Benvenuti nel mondo della " Zona limbica ", la zona del nostro cervello che governa sussurri e tempeste sessuali ma anche gli stimoli della fame e della sete.
Stranamente è la parte meno evoluta del nostro cervello.
In milioni di anni nulla è mutato nella struttura e nella funzionalità di questa zona restia ad ogni cambiamento.
La " Zona Limbica " è anche il terminale degli stimoli olfattivi e gustativi, come dire che è lei che ci permette di distinguere un " Rosato di San Severo " da un " Rosè della Provenza " eppure dicono gli esperti, che oltre all’etichetta e al prezzo, al citato Rosato è stato aggiunto il solo trasporto dalle masserie pugliesi ai ristoranti di Marsiglia.
Ma questa è una storia di ordinaria disonestà. La capacità olfattiva di molti animali è sorprendente.
La ricerca e l’esame delle tracce olfattive permette loro una conoscenza perfetta dell’ambiente. La loro zona limbica è identica alla nostra ma sono i recettori nasali degli animali che sono più perfetti dei nostri.
Le nostre papille gustative, invece, possono reggere il confronto con gli altri esseri viventi ed ora ci serviremo di questa nostra capacità per compiere qualche esercizio che ci permetterà un rapido accostamento ai principi che governano la cucina orrifica.
E’ difficile infatti avvicinarsi alla cucina orrifica senza aver fatto qualche esercizio propedeutico, diciamo senza aver posto le premesse di quest’incontro:
 
1) Bisogna prima di tutto convincersi dell’idea che non solo il cibo ha un proprio odore e sapore ma che sono tante le cose che nella nostra vita hanno odore e sapore. In pratica, quasi tutte.
 
 
Per ottenere questo risultato è necessario eseguire scrupolosamente gli esercizi che seguono.
 
 
 
                                                  
 
 
      
Esercizi
 
 
1) Toglietevi l’orologio dal polso e, con la lingua, cominciate ad assaggiarne il dorso. In fondo state assaggiando voi stessi e la cosa non dovrebbe disturbarvi troppo visto che abitualmente siete costretti a vivere con la bocca piena di saliva, la vostra.
 
2) La prossima volta che andate in ascensore, se siete soli, provate prima ad annusare poi a leccare i pulsanti.
Se ripeterete l’esperienza, col tempo, imparerete a distinguere la crema della signora del secondo piano, il dopobarba del ragioniere del quarto e una serie di altre interessantissime informazioni.
 
3)Potete provare anche ad assaggiare la pistola distributrice di carburante della stazione self-service e scoprirete nuovi sapori, tutti correlati alle ore nelle quali procederete ai rilevamenti.
Il sapore della mano del nottambulo che rincasa, quello del fornaio, dello studente che va a scuola, della signora che fa la spesa e poi meccanici, agenti di commercio ecc. mani straniere, povere, grasse, pie. Provate.
 
4) E una sera, al ritorno da una passeggiata in bicicletta, provate a rovesciare la bicicletta sulla sella, date una vigorosa pedalata e accostate la lingua al copertone che vi restituirà tutto il sapore della strada percorsa.
Ma non pigiate troppo la lingua, vi scottereste e, alla fine, sentireste solo il sapore della gomma.
A dire il vero La GoodYear è più dolce della Pirelli e la Michelin è quasi frizzante ma
meno succosa della Dunlop ma questo è tutto un altro ricercare.
 
 
Una volta eseguiti tutti gli esercizi con certosina perizia, troverete da voi, come corollari necessari, tutte le caratteristiche della cucina orrifica. Verranno da se come logica conseguenza.
Provate, provate e verificate.
 
 
 
 
 
 
LA FORFORA
 
 
 
La forfora, neve impalpabile, saporosa, grassa, è l’ex involucro del nostro corpo, la ex confezione:
Pettini nelle stanze da bagno di amici, barbieri compiacenti, con la scusa di ricerche scientifiche potreste facilmente approvvigionarvi di questo gustoso ingrediente ma noi suggeriamo un sistema di raccolta che è a metà tra informazione e poesia ed è diventato un vero cult tra gli operatori di cucina orrifica.
 
………………………….
 
 
 
 
La luce vi accoglie all’uscita delle interminabili gallerie che avete dovuto attraversare.
Linea ferroviaria Perpignan – Port Bou; di mezzo ci sono i Pirenei e l’arrivo a Port Bou è una vera magia, soprattutto se ci arrivate in primavera.
Port Bou è anche la frontiera spagnola e bisogna cambiare treno perchè le ferrovie spagnole usano ancora uno scartamento superiore che impedisce ai treni delle altre nazioni europeee di transitare sulla loro linea.
Quella mezzora che serve per le veloci operazioni doganali e per il cambio del treno è il primo dolcissimo impatto con quella terra.
Luce, luce e colori, è la Spagna che immaginavate.
Ma non fatevi distrarre, un operatore della cucina orrifica non può permettersi di perdere un’occasione unica di raccolta di un ingrediente che altrove è praticamente introvabile.
Affrettatevi a raggiungere la sala di attesa di seconda classe.
La troverete quasi certamente vuota perchè sono tutti occupati nelle operazioni di frontiera.
Notate che è arredata con panche di legno scuro dallo schienale molto alto e decorato con una lunga e spessa striscia scura, pesante e quasi in rilievo.
Tendete la mano e toccate la striscia: è cremosa, untuosa.
La consuetudine spagnola di ungersi i capelli impedisce che la forfora prodotta dal maschio ispanico possa volteggiare nell’aria e favorisce la creazione di quest’ impasto a base di forfora.
Ogni capigliatura di viaggiatore in attesa che si poggi sullo schienale della panca, lascia la sua parte di crema, viaggiatore dopo viaggiatore, cremosità dopo cremosità, si crea la striscia che solo dopo qualche giorno di esposizione all’aria, acquista il colore scuro che notate.
Una piccola spatola sarebbe l’ideale ma anche una cartolina va bene lo stesso.
Passatela sulla striscia nera per tutta la lunghezza dello schienale, la riempirete quasi completamente di un impasto fragrante e profumato che conserverete in un sacchetto di plastica.
Bravi avete raccolto un prodotto organico nutriente e saporito che solo la collaborazione involontaria di ben 180 spagnoli di sesso maschile è stata in grado di fornirvi.
Avete in pugno una fetta di cultura iberica, anzi diciamo sei o sette cucchiai di cultura in crema.
A casa, con tutto comodo eliminerete tutti i capelli presenti nella crema, poi farete prendere aria per sette giorni
rimestando ogni dodici ore con un coltello spalmatore.
Questa è l’operazione che permette lo svaporare completo dei prodotto di profumazione per cui alla fine dei sette giorni avrete messo da parte un piccolo tesoro di golosità già pronto essere accolto da tartine o per accompagnare piatti di carne magra. Ed ora una ricettina facile facile.
 
 
FAGOTTINI DI FORFORA
 
 
INGREDIENTI: Pasta all’uovo in sfoglia
2 cucchiai di forfora spagnola in crema
Mezza foglia di alloro
Una foglia di salvia
Il bianco di un uovo
Noce moscata, pepe verde e sale q.b.
 
 
 
Preparazione
 
 
Stendete una sfoglia di pasta all’uovo dello spessore di 2 mm. e ricavatene due triangoli di 11 cm. di lato. Non eccedete nella misura, c’è una ragione.
Adagiate in ogni triangolo un cucchiaio di crema di forfora aggiustata di sale e pepe. Aggiungete una leggera grattatine di noce moscata ma senza esagerare per non soffocare " el savor " della forfora.
Chiudete i triangoli sovrapponendo gli angoli pennellati di albume, questo assicurerà una chiusura perfetta.
Cucinate al vapore per sette minuti ricordandovi di aggiungere all’acqua di cottura una fogliolina di salvia e mezza di alloro.
Scolate ed adagiate il fagottino in un piatto da portata lasciandolo freddare per non meno di cinque minuti.
Gustatelo tiepido ricordando che la tradizione vuole che il fagottino debba trovare posto interamente nella bocca del commensale dove verrà serrato fino ad inondare di tiepida crema di forfora lingua, denti e gengive, fino ad avvolgere di fragranza le fosse nasali.
Questo piatto monoboccone si accompagna bene ad un Barolo di medio invecchiamento.
 
 
 
 
 
In memoria di Edoardo Nestini, maestro di cucina orrifica,
che nello scorso Febbraio ha preferito lasciarci.
 
 
IL SUICIDIO DI UN CUOCO
 
 
Poi venne il suicidio. In un tardo pomeriggio di un giorno piovoso si fermò dinanzi alla scala mobile di un grande magazzino. Poca gente, era il momento.
Si inginocchiava dinanzi al corrimano di gomma che ora scorreva davanti ai suoi occhi.
Il naso cominciava a percepire una tempesta di odori, odori di mani di uomini e di donne, un susseguirsi velocissimo a volte un sovrapporsi di impronte odorose che quasi l’occhio poteva percepire.
A tentare di isolarli uno per uno c’era da bruciarsi il cervello ed era quello che lui voleva fare.
Il nastro di gomma correva e gli portava, anzi gli buttava in faccia gli odori del mondo, almeno quello che può stare in un supermercato.
Signora con mani con crema emolliente, talco, crema al miele, sudore, molto sudore, femminile, bava sicuramente bava, caccole, benzina, strano, benzina e anche…no, non è possibile forfora e…altro, altro.
Un minuto e cinquanta secondi e il nastro gli riportava l’odore della crema emolliente. Aveva fatto un giro completo, aveva contato trecentoventidue odori e non era morto. Ma forse erano trecento ventitre.
Poi l’intuizione: Sono odori ma anche sapori.
E la sua lingua, che aveva preparata rilassata e insalivata, cominci ad avvicinarsi al nastro che scorreva.
Il primo assaggio fu una sudatissima presenza di genere femminile poi nell’ordine e molto velocemente, succhiò un falegname, aspro, assaporò una suora, acida, ingoiò un intero bambino, sporco e forse capriccioso e tanti altri fino a quando il suo cervello pensò opportuno di interrompere i contatti con il corpo di Edoardo.
Edoardo morì dopo trentasette secondi esatti, all’ottantasettesimo sapore. Dopo settantacinque secondi, quando ripassa va il sapore della sudatissima presenza anche la sua lingua non faceva più contatto con il corrimano di gomma. Quando ripassò il sapore della suora qualcuno lo vide.
Vide Edoardo, non il sapore.
Al terzo giro del corrimano un medico ne aveva diagnosticato la morte: Il cuore, è stato il cuore – diceva sicuro.
Del resto come si fa a morire di naso o di lingua ?
 
 
 
Ndr: Chiariamo una cosa. Potete sempre venire a cena a casa mia. Questo trattato sull’orrore è proprio per   esorcizzare le mie infinite paure di contaminazioni alimentari. Mi basta vedere un capello e non mangio per una settimana. Comunque tutto ciò è stato soprattutto un esperimento letterario, ecco la tesi:
Si può scrivere bene anche su argomenti di merda
 

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