La sedia d’ acciaio

Sera. Il vento soffiava leggero sulle finestre, e la piccola luce del caminetto riscaldava la stanza.
La porta scricchiolò leggermente mentre si apriva, e il ragazzo lascio la capanna con un leggero rumore dei suoi stivali sul pavimento in legno.
Intanto il vento continuava a soffiare, si sentivano le chiome degli alberi scuotere, e la luna piena illuminava il cammino.
Faceva freddo. Si. Ma un freddo strano, un freddo su cui ti fermavi a pensare prima di continuare a camminare.
Classiche strade di campagna, di sera, si sentivano i lupi ululare, paglia spostata da vento, animali che camminano.

Eppure lui era attratto da quel sentiero, non si sa come, ma continuava a seguirlo. Di solito era il suo classico giro attorno alla capanna, la classica passeggiata serale. Quella volta invece fu diverso. Continuava a camminare per quella stradina. Era in salita, si, per adesso.
Passò il dosso, ora non si vedeva più da lontano la sua casa, mentre la strada continuava a zig-zag. In discesa, questa volta.
I ciottoli bianchi scoppiettavano mentre venivano schiacciati e spostati dai passi, come quando i tuoi piedi lasciano le tue impronte nella sabbia bagnata, e poco dopo, le impronte scompaiono. Il vento faceva spostare di nuovo i ciottoli.
Cominciava a fare più freddo, lui si strinse più forte la pesante giacca e risistemò la sciarpa.

La strada terminava, o meglio, sembrava che terminasse dentro un bosco molto fitto. E questo non era che l’ inizio di quello che lo aspettava…
Camminava, e camminava, quando un immagine poco rassicurante lo spaventò forse per un istante.
C’era un grosso pesce morto, al lato della strada, cosparso di sangue. E no, non era tagliato a metà, era solo, morto.
Candido e sporco al tempo stesso, il sangue era ormai coagulato, e sembrava incollato ai ciottoli, sporcandoli di un rosso scuro, molto scuro, come l’ interno di una bistecca dopo una lunga cottura.
Si avvicinò per capire cosa poteva essere stato, ma servi solo ad aumentare le proprie paure. Stava per svenire quando toccando il pesce con un bastone, gli occhi del pesce rotolarono dentro la testa.
Riprese a camminare, questa volta con un passo più affrettato. E non fece caso agli altri cinque pesci morti in quello stesso modo.

Un tonfo sordo, violento, eppure non senti i ciottoli tagliarli le mani. Anzi, sembrava caduto su qualcosa di morbido.
Ormai era tarda sera, e la luce scarseggiava. Cercò di rialzarsi, con i piedi gli sembrò di schiacciare qualcosa di molle, non di poggiarli normalmente sulla strada.
Alzò la testa, sembrava tutto normale, i pipistrelli lo osservano, appollaiati su quell’ albero.
Purtroppo oltre ad alzarla dovette anche abbassarla, la testa.
C’era un tappeto di pesci morti, illuminato da un forte rossore. Sembrava come trovarsi dentro una brace: l’ esterno polveroso e annerito, l’ interno caldo e rosso.

L’ urlo silenzioso gli uscì lentamente dalla bocca. Ma dopotutto, a cosa poteva servire? Chi poteva sentirlo? La notte sembrava aspettarlo, lo aspettava per prenderlo e non lasciarlo mai più. L’ inganno della luce, il sentiero, ma il peggio, stava per arrivare.
O almeno, così pensava lui.
La testa l’ aveva alzata, poi abbassata. Ora la rialzò, ma a metà, per vedere davanti a se e camminare.
Era buffo, pensò inizialmente, una sedia di metallo, grossa, abbandonata in mezzo al sentiero. Un grande sentiero.
La sedia era di fronte a lui, ma opposta, e lui non poteva che vedere il grande e possente schienale.
Era qui, che forse gli sarebbe servito un urlo. Uno vero. Una testa, di un uomo, si, sicuramente un uomo, sporgeva sopra alla sedia.
I folti capelli bianchissimi risplendevano insieme alla luna, ed erano in forte contrasto con le nere, grandi, cinture che lo legavano con forza alla sedia.
Legato? Morto?
Cercò di uccidere la paura dentro se e si avvicinò con cautela alla sedia…

Si soffermò a guardarlo, era lì, seduto, morto. Con la bocca spalancata. Deve aver urlato molto, pensò.
Gli occhi rivolti verso il cielo. La voglia di fuggire, di scappare da chissàcosa lo aveva legato a quella sedia. Quella maledetta sedia.
Cosa ci faceva lì? E perchè c’era un morto sopra? E perchè quel morto ora era a 30 centimetri da lui?
Non ebbe ancora il coraggio di guardarlo in faccia, piuttosto osservò le grosse cinghie che lo legavano. Erano davvero spesse, e legate in un modo assurdo, sembravano parte della tortura stessa, non un elemento per bloccarlo, un elemento per ammazzarlo. Erano così strette che lasciarono segni indicibili sul corpo di quell’ uomo. Il resto delle cinghie nerissime pendeva dietro e sui lati, avvolgendo le quattro grosse gambe della sedia. Le mani erano schiacciate e completamente immobilizzate ai due braccioli, e fu qui che notò un particolare agghiacciante: le mani e le braccia erano legate alla sedia tramite grossi e lunghissimi chiodi intorno ai quali si erano formate chiazze di sangue raggrumito.
Rialzò la testa, e si fece forza per scrutare la faccia dell’ uomo. Quasi cadde all’ indietro dallo spavento: La faccia era completamente sfregiata da una moltitudine di grossi e profondi tagli, dai quali il rosso nettare tingeva il viso, rendendolo quasi irriconoscibile. Gli occhi erano perforati, e rivolti verso l’ alto.
La bocca… rossa, rossa anche se intorno c’era un freddo terribile, rossa con pozze di sangue ancora liquide. La lingua era stata orridamente mutilata.
L’ unica cosa che non fu toccata furono probabilmente i suoi bianchi e lunghissimi capelli, un bianco naturale, non causato da vecchiaia, sembrava.
Era così preso dalla sua faccia che non vide il grande pesce, morto, che aveva intorno al braccio sinistro e un altro sulla gamba destra.

Non fu così coraggioso da toccarlo, anche se indugiò a lungo. Prese dal pesante cappotto una pipa e la mise in bocca, e quindi l’ accese.
Il fumo volava lentamente formando diversi percorsi, che si intrecciarono infine in un abbraccio senza fine, scavalcando l’ aria ed espandendosi sopra nel cielo.
Un taglio violentissimo al braccio destro lo bloccò. Rilasciò una grande bolla di fumo, tossendo in un modo disastroso, forse per evitare di soffocarsi.
Il sangue fresco e caldo sgorgava dal suo braccio, correva su per il cappotto e gocciolava vicino il polso.
Urlare ancora? A cosa sarebbe servito. Si limitò ad ascoltare piuttosto. Un ruscello e l’acqua che cadeva, mentre scendeva attraverso alcuni massi. Salti nell’ acqua, pesci? Forse. Vivi? Non lo sapeva.
Fece qualche passo indietro, senza muovere le gambe, e venne trasportato dentro al buio e tenebroso bosco.
Gli uccelli volavano, l’ acqua scorreva, il vento scuoteva gli alberi, e il suo sangue ancora gocciolava sul sentiero. Anche se non sembrava, gocciolavano anche lacrime dal suo viso, lacrime che non toccarono mai terra.

Ed intanto pensava alla notte che passava, a cosa sarebbe successo, la luce ormai era fin troppo bassa per riflettere sugli occhi.
Aveva paura. Si, aveva davvero paura. Non tornerà, o forse finirà come quello sulla sedia di metallo? Il solo pensiero lo faceva rabbrividire.
Continuava a essere trascinato sui ciottoli, bianchi, come la luna che gli sembrò fosse l’ ultima volta di vedere.
Abbassò la testa, e ormai non riuscì più a stare in piedi. Crollò, svenuto.

Per fortuna che aveva spento il caminetto prima di uscire di casa.

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