Notte piovosa d’ estate

Era notte. O meglio, tarda serata, sarà stata mezzanotte o su di lì.
Avevo sete. Tanta. Era una di quelle calde notti d’ estate.
Ma, complice la mia pigrizia, l’ acqua non c’era in casa. Dovevo per forza scendere le scale e uscire dal portone, dove vi erano le casse d’ acqua.
Era notte. Una di quelle senza luna, dove qualsiasi cosa non è come dovrebbe essere.
Dove qualsiasi cosa può essere ciò che la tua immaginazione vuole.
Come se non bastasse, pioveva a dirotto.
Mi alzo dal letto, non vi era ancora la corrente elettrica in quella casa di campagna, così presi il mio accendino e con quella poca luce riuscìì a prendere la vestaglia ed indossare le pantofole.
Piano piano scesi lungo le scale. Ad ogni passo la mia paura cresceva, sentivo la pioggia picchiettare sulle finestre, erò a metà della strada, la porta di casa si richiude da sola.
Attimi di gelo, mi sentivo morire. E’ stato il vento, pensai. Cercavo di cambiare la mia immaginazione. C’era vento dopotutto, la fiamma dell’ accendino si spense.
Ero ormai nel buio più totale. Cominciai a sentire brividi freddi, forse una finestra che si apre. Mi voltai verso la porta, vi erano strane ombre, non sapevo cosa fossero.
Ero in uno stato di trance, non riuscivo a urlare, non riuscivo a provare più paura di quanta non ne avessi.
Qualcosa mi tocca sulla spalla. Contemporaneamente mi prende il piede. E’ fredda.
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E’ come se il tempo si rallentasse, spalancai lentamente la mia bocca, ma non riuscìì a gridare. I miei polmoni erano fermi.
Stavo soffocando.
La mia immaginazione mi stava uccidendo.
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Ma era davvero la mia immaginazione? Non ricordo cosa vidi, era tutto buio. Riuscivo a distinguere solo le ombre di prima. Ma poi mi girai, e non vidi più nulla.
Mi girai di nuovo per vedere se c’erano ancora quelle ombre.
Mi voltai.
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Un urlo, si, questa volta ci riuscìì. Era un urlo talmente alto che penso di aver svegliato tutti gli altri che erano nella casa a dormire. Urlai, e poi urlai ancora.
Urlai mentre venivo assassinato dalla mia immaginazione.
Cominciai a correre, cercando di risalire le scale. Eppure sembrava che non finissero mai.
Accesi l’ accendino.
Stavo correndo in cerchio, ero fuori casa, davanti al portone.
La mia mente si era completamente annebbiata.
Esco fuori dal tratto protetto dalla pioggia (vi era infatti una terrazza che nelle vicinanze del portone riparava dalla pioggia).
E’ stata la pioggia a svegliarmi dalla mia trance.
La pioggia scorreva, io avevo sempre più freddo. La paura era talmente alta che non la sentivo più. L’ accendino era ormai inutilizzabile.
Comincio a sentire altri rumori, sento che qualcos’ altro mi tocca.
Ormai la mia mente non ce la fa più a sopportare la paura.
Cado, svenuto.
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Mi risveglio qualche ora dopo nel mio letto, è mattina.
Eppure il mio accendino non c’è. Il letto è tutto bagnato.
Ho ancora le ciabatte ai piedi. Una voce: "dormi bene".
Non vedo più nulla. Non sento più nulla.
Svengo di nuovo. Mi risveglierò solo più tardi nell’ ospedale cittadino.
Avevo ancora sete.

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