Schopenhauer e Kierkegaard

Schopenhauer

Le basi da cui Schopenhauer parte per costruire il suo disegno filosofico irrazionalistico sono quelle del kantismo, intenso soprattutto riguardo il fenomenismo.
Una delle prime opere importanti è proprio la sua tesi di laurea, che verte riguardo il principio di Leibniz: "sulla quadruplice radice della ragion sufficiente".
Il capolavoro filosofico di Schopenhauer è "il mondo come volontà e rappresentazione", pubblicato nel 18 e poi una nuova edizione negli anni 40, ma comincia a diventare di successo dal 48 in poi, in seguito a quell'ondata di pessimismo generale che si ebbe in tutta Europa, con la primavera dei popoli nel 48 e le grandi rivoluzioni proletarie. La prima frase con cui si apre tale capolavoro è << il mondo è una mia rappresentazione >>.
Un'altra opera pubblicata nel '51 è una miscellanea di saggi dal titolo "parerga e paralipomena".
Lo sfondo generale della filosofia di Schopenhauer è dato da un irrazionalismo anti-idealistico, è sì un idealismo gnoseologico, ma è anche una filosofia irrazionalistica, per questo anti-hegeliana e anti-idealistica nel senso hegeliano del termine. Quello di Schopenhauer è basato sul principio della "volontà di vita", che ha caratteristiche completamente contrapposte a quelle della ragione di Hegel.

Il fenomeno in Schopenhauer non è più l'unica realtà conoscibile, la realtà come appare a me, ma invece è apparenza, è parvenza, è illusione. È un concetto che mutua dalle filosofie orientali, lo definisce come "velo di Maya", che va squarciato per attingere la vera realtà delle cose.
Il noumeno coincide con la volontà, con il "wille zum leben", l'impulso che ci spinge ad esistere e ad agire, la volontà di vita. Non ha nulla a che fare con la volontà intesa come libertà, ma anzi è un qualcosa che ci toglie la libertà e toglie la libertà a tutte le cose; va intesa come pulsione cieca, coma la libido in Freud. È una volontà irrazionale, senza scopo, senza un fine: la volontà vuole la volontà, la vita vuole la vita, e tale vita genera noia e dolore. Il piacere è solo una momentanea cessazione del dolore.
Il desiderio è mancanza, e una volta ottenuto ciò che si vuole, per brevissimo tempo vi è questa scarica del piacere, per poi tornare subito a desiderare altro, e piombare nuovamente nella noia.
Per Schopenhauer non può esistere una realtà al di fuori della nostra rappresentazione. Soggetto e oggetto esistono solo nella rappresentazione. Il mondo stesso può esistere solo all'interno della nostra rappresentazione. La realtà è azione causale, wirkelichkeit, che discende dal verbo wirken (agire).
La volontà di vita, che è noumeno, essenza di tutte cose, la si può conoscere patologicamente, attraverso il corpo. In quanto ragione io rappresento il mondo, in quanto corpo io sento dall'interno la vita. È quindi il corpo, in virtù del nostro essere pulsionali, che può squarciare il velo di Maya.
Il mondo della rappresentazione è sottoposto alle coordinate fondamentali dello spazio, del tempo, e della causalità.

La volontà di vita è inconscia, è unica, è eterna, è incausata ed è senza scopo. Ha come fine il suo stesso essere irrazionale. È al di là dello spazio e del tempo vuol dire che non è determinata dal principio di individuazione. Non c'è quindi differenziazione, non c'è causalità poiché non ci sono più cose ma la volontà è, per forza di cose, singola.
Il dolore si origina quindi dalla stessa volontà. Bisogna quindi liberarsi da tale dolore, ma non con il suicidio, poiché questa non è una forma di liberazione, ma è un modo attraverso la quale l'uomo riafferma il suo attaccamento alla vita.
L'obiettivo è quindi quello di annullare la Voluntas portandola alla Noluntas. Sono tre le vie per raggiungere questo scopo: quella dell'arte, della morale, e dell'ascesi. Quindi estetica, etica e mistica.
L'arte è transeunte, è solo temporanea. Anche la morale, che ha a che fare soprattutto con la compassione, con la giustizia, è apparentemente più forte, ma è ugualmente una via temporanea.
Attraverso l'ascesi, invece, bisogna estirpare il desiderio, partendo soprattutto dai sensi; quindi ad esempio la castità perfetta. Si vuole estirpare la volontà di vivere, toglie proprio la radice del desiderare, il conatus essendi. Ciò, però, non porta alla morte, ma al nirvana.
Il nirvana è l'esperienza del nulla, vissuto come negazione della rappresentazione del mondo stesso.

Kierkegaard

La categoria della possibilità è la categoria esistenziale per antonomasia perché ha a che fare direttamente con l'esistenza.
L'esistenza, per Kierkegaard, è possibilità. Ha a che fare con il progetto, con la scelta.
È possibilità, perché concepisce l'esistenza umana come trascendenza. Che non ha a che fare né con la trascendenza né degli scolastici, né quella trascendentale. Ma a che fare con l'esistenza. Esistenza è esistere, "stare fuori", che è diverso dallo "stare"; "stare fuori" significa esistere, ed è questa la differenza degli uomini che esistono, mentre gli animali "sono".
Noi siamo trascendimento continuo.
Kierkegaard ha paura delle scelte esistenziali, come lo scegliere di sposare una fidanzata con cui è stato per diversi anni, o scegliere di poter diventare pastore protestante.
Noi siamo minacciati dal nulla, paralizzati. Per questo, Kierkegaard nel valutare la potenza della possibilità, ne mette in luce in maniera tragica l'aspetto negativo, il suo volto nichilistico. 

Dalla categoria della possibilità, scaturisce l'angoscia. Che coincide con la consapevolezza del dover scegliere e soprattutto con la minaccia del nulla. La paura, al contrario, è un sentimento con oggetto, è sempre paura di qualcosa. L'angoscia è indeterminata, non è causata da qualcosa, o da un tema ben preciso. Ha a che fare con la minaccia del nulla, è astratta, non si capisce da cosa è generata. Non si può togliere in quanto fa parte del nostro stesso essere. 
Il singolo non è un concetto ma una categoria, inteso come manifestazione dell'essere. È l'esistenza che si contrappone al concetto, è al di là dei concetti, è un qualcosa di concreto. 

Suddivide tre stadi dell'esistenza, lo stato estetico, quello etico, e quello religioso. Non sono dei gradi, tra queste tre vite non vi è un et-et dialettico, come in Hegel tesi-antitesi-sintesi; ma un aut-aut. Per passare da uno stato all'altro ci vuole un salto enorme: la scelta. 
La vita estetica si fonda sulla non etica, sull'estetica dell'attimo. Il Don Giovanni, la figura che rappresenta la vita estetica, fa cose immediate, cose che non si ripetono, si basa sul sensazionale, della non-regola.
Il salto dalla vita estetica a quella etica si compie con la scelta di una nuova figura, quella del marito, ovvero colui che si sottopone alle norme, alle regole della vita coniugale e quindi della vita sociale. 
È importantissimo, invece, lo stadio religioso, che per Kierkegaard è quello più importante. È quello stadio esistenziale in cui compare la fede, l'uomo credente.
La fede, secondo Kierkegaard, crea uno stato di profonda solitudine. La fede isola, perché la fede si può realizzare soltanto in un rapporto diretto ed esclusivo con Dio. È solo l'uomo perché si trova di fronte all'assurdo. 
 

 

 

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