Margareth

Anche se lo stato di follia in cui mi ritrovo e la storia che mi accingo a raccontare sia così terrificante che eluderà qualsiasi persona sana a credere a ogni mia singola parola, mi sento obbligato a lasciare le testimonianze della mia vita sconsiderata e degli orrori scaturiti da essa.
Mi chiamo Robert, il cognome non ha importanza, fino a qualche decennio fa conducevo una vita alquanto monotona e nei limiti della stentatezza economica, ma conobbi una persona che poté cambiare la mia condizione: si chiamava Margareth, una fanciulla graziosa, unica figlia di una ricca famiglia borghese: non la meritavo di certo per la persona bramosa di denaro che ero, e proprio tale desiderio mi indusse a “contrattare” matrimonio con lei.
Povera ragazza, ingenua qual era credette che il mio interesse per lei fosse mosso solo da affetto e desiderio di una prole e di una vita felice… stolta!
La famiglia la ammonì per tale legame, e come darle torto?
Ma, anche se poco intelligente, era molto decisa, oltre che una discreta cantante con le quali note rintratteneva gli ospiti accompagnata dal fratello pianista: mi amava, io amavo semplicemente la sua dote.
Fu così che il padre concesse la mano di Margareth, e i suoi beni, alla mia.
Il matrimonio fu piuttosto frettoloso, le nozze si protrassero per due settimane, alla fine mi trasferii alla casa ereditata dai suoi antenati, ma fino ad allora non più abitata.
Vivevo di rendita, ma decisi di trovarmi un lavoro per mascherare la mia dissolutezza: tramite il padre trovai un posto come segretario nella società di famiglia.
Il denaro accumulato, ed ereditato, mi permise il piacere di spenderlo in bevute e lupanari londinesi, a insaputa di Margareth.
In una delle tante rimpatriate tra amici notai una ragazza, Heleonore : attiva, sensuale, perfetta.
Iniziammo a frequentarci, ma ben presto le voci che circolavano sulla nostra relazione arrivarono all’orecchio di mia moglie; cadde in grandi patimenti, la sua salute peggiorò, ma non disse nulla ai suoi, mi amava ancora. Ma non volevo farci caso, finché contrasse un male che presto la portò a stare sempre a letto.
Provai un po’ di pietà e la assistetti, seppure marginalmente; nel girò di tre mesi peggiorò, ma non esitai a terminare il mio rapporto adultero.
Il 3 gennaio dell’anno successivo esalò l’ultimo respiro.
La tumulammo nella tomba di famiglia, a me andò in eredità la casa e un bel gruzzoletto.
Il rapporto con Heleonore perdurò, presto decidemmo di sposarci.
Avevo una casa, un lavoro, denaro, una moglie perfetta, una vita perfetta, ma non per molto.
Due anni dalla morte di Margareth le cose andavano per il meglio, ma durante l’autunno del 1875 la situazione economica cominciò a precipitare, fui licenziato dalla compagnia di quella che un tempo era la mia famiglia, ma avevo ancora la casa e parecchio denaro sul conto.
Fu allora che gli eventi cominciarono ad andare fuori dalla normalità.
La tomba di Margareth subì un cedimento a causa del terreno poco stabile in cui era stato eretto il mausoleo, fu così necessario estrarre tutti i feretri dai loculi e trasferirli in una cappella adiacente finché non sarebbero terminati i lavori di manutenzione, il corpo di Margareth era completamente disfatto.
Una di quelle notti, sebbene il tempo in quel periodo non fosse eccezionalmente tanto freddo, divenne di colpo molto gelida, io e la mia amata indossavamo vesti leggere, fummo così costretti a cambiarci, erano circa le due quando ritornammo al nostro letto.
Si alzò un vento improvviso, così mi alzai a chiudere meglio la finestra, tornando a letto mi parve di udire nel vento il lamento familiare di una donna, attribuii tale suono a un’illusione dovuta al sonno e non ci feci molto caso; ma quando Heleonore mi disse che anche lei avvertiva un suono strano cominciai a insospettirmi, ma non osai alzarmi dal letto e mi sforzai di addormentarmi.
Ma mi si gelò il sangue quando tra gli spiri del vento udii un suono sinistro, era il mio nome.

Riconobbi subito quella voce ma non volli credere che la sua proprietaria era, doveva essere, morta da tre anni!
Era una notte buia, eppure vidi una luce biancastra proiettarsi sul muro della mia stanza.

Provavo un ardore di fiamma, eppure faceva molto freddo in quella stanza, non osavo alzarmi dal letto, avrei fatto agitare Heleonore, che nonostante tutto si era riaddormentata da quando le parve di udire quel suono, o per lo meno, quella voce.
Stavo forse impazzendo?
Era tutta un illusione?
Sognavo?
Infilai la testa sotto le lenzuola, non volevo che dalla finestra si affacciasse chi mi stava tormentando e la potessi osservare.
Per un’ora continuò quel suono ostile, ma il mio cuore trasalì quando tra il vento mi parve allora di udire un canto doloroso.
Il terrore mi aveva ormai immobilizzato, avrei voluto urlare come un infante, ma non potevo.
Fu allora che ebbi la sensazione che qualcosa stesse raschiando il davanzale della mia finestra, ma non volevo sapere che cosa fosse.
Subito la luce biancastra divenne azzurrina e aumentò di lucentezza, il freddo divenne gelo, qualcosa era entrata nella mia stanza, sentivo dei passi felpati avvicinarsi di fronte al mio letto.
Da sotto le lenzuola vidi che un’aura di lucentezza mi si prostrava di fronte ma provavo troppo timore per uscire dal mio nascondiglio di tessuti per fissarla.
L’aura si spostò accanto al mio letto, anelava un respiro di morte, era immobile e pulsante, ormai il panico penetrava ogni mio singolo organo.
Una glaciale mano ossuta mi prese il braccio destro, istintivamente emersi, alzandomi per il tronco dai tessuti, e la vidi.
A un palmo del mio volto mi osservavano gli occhi incavati di Margareth, riconobbi i suoi capelli purpurei, ma il volto era in completo disfacimento; aprì la bocca, la lingua nera cominciò a vibrare e un grido acuto penetrò ogni angolo della stanza, mai si udì un suono così vivo proveniente da membra morte. Ero sul punto di scoppiare quando la vista mi si offuscò e caddi in un baratro di silenzio.

La mattina dopo fui ritrovato da mia moglie ai piedi del letto, deliravo come un demente, la finestra era spalancata.
Fui portato in una clinica dove rimasi per cinque settimane, subii ogni abominio della medicina ma non facilmente smisi di ripetere celermente:
«Margareth, Margareth, Margareth…»
Tornai a casa distrutto, Heleonore non desiderava più continuare la sua esistenza con un folle, rimasi solo.
Stavo camminando a vuoto nella stanza da letto quando notai delle anomalie del davanzale, aprii la finestra e sotto la luce di una giornata nuvolosa lessi delle indistinte lettere incise che formavano il nome:

MARGARETH

Ricaddi nel mio delirio, fui così riportato alla clinica dove tutt’ora vegeto.
Ieri ho ricevuto una visita, era il fratello di Margareth, la famiglia era venuta a sapere del mio crollo psichico e desiderava sapere le mie condizioni.
Si rintrattenne con me per una mezz’oretta, alla fine, prima di andarsene, asseriò il volto e mi disse con modo incerto che alla fine dei lavori di manutenzione della cappella di famiglia si volle sostituire il feretro danneggiato di Margareth, quando gli addetti sollevarono il coperchio rimasero sbigottiti: il corpo della ragazza che due settimane prima era stato visto completamente disfatto, era ora nelle stesse condizioni del giorno in cui fu deposto, sul viso era impresso un sorriso appagato.

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