Kant

L'attività letteraria si divide nel periodo pre-critico e critico. Lo spartiacque è segnato dalla dissertazione del '70. L'81 invece è l'anno della pubblicazione della prima critica. Nel '70 invece pubblicò "de mundi sensibilis atque intelligibilis formis et principis", ovvero la "dissertazione".
È, questa, la prima opera nella quale Kant comincia ad applicare la soluzione critica dello spazio e del tempo. È quindi l'inizio del suo approccio critico che poi troverà maturazione nell'81. Applica una lettura critica alla conoscenza sensibile. Solo la sensibilità verrà però invece investita dalla critica del '70, mentre l'intelletto ancora no.
Distingue tra conoscenza sensibile e conoscenza intellettiva.
Per Kant la sensibilità è una facoltà ricettiva, e non intende solo la passività, ma, la sensibilità è dunque una facoltà intuitiva.
È l'unica facoltà che intuisce, dato che è l'unica facoltà che percepisce. Ma è anche attività, la sensibilità ha anche qualcosa di attivo, in quanto non si limita ad accogliere passivamente le cose. La sensazione è la modificazione immediata dell'organo di senso.
È insieme passiva e attiva perché le impressioni che riceve, nel momento in cui le riceve, le modifica anche in relazione allo spazio e al tempo, ovvero le due modalità fisse, le due forme a priori.
Sono già dentro la sensibilità poiché sono due strutture trascendentali della stessa sensibilità. La trama della sensibilità è appunto spazio-temporale.
Il trascendentale, in Kant, riguarda lo studio delle condizioni della conoscenza (spazio-tempo, categorie, etc.). Kant è il primo a capire che la conoscenza ha delle condizioni interne tramite le quali modifica l'esperienza.

Critica della ragion pura

L'oggetto della sensibilità si chiama fenomeno. Per il Kant del '70, il fenomeno è solo l'oggetto della sensibilità (mentre dell'intelletto si chiama noumeno).
Per il Kant critico, invece, tutto sarà fenomeno. Il fenomeno è la realtà come appare, ovvero come appare a me, filtrata attraverso lo spazio e il tempo.
Per il Kant critico, tutto è fenomeno, poiché tutto è filtrato. Nel Kant del '70, solo la sensibilità è vista in modo trascendentale. L'intelletto ancora in modo tradizionale. Kant non è un empirista.
Può essere al contrario definito come criticista.
Il problema generale della prima critica e la fondazione filosofica del sapere scientifico (al contrario di Hume) è analisi critica dei fondamenti del sapere.
Kant parte proprio dal dubbio scettico di Hume. Capisce che per criticarlo deve trovare i fondamenti della conoscenza pura. Nell'estetica Kant trova la spiegazione della matematica, mentre nell'analitica vi è la fisica.
Di quali giudizi ci si serve quando si fa scienza?
Per Kant l'ossatura del ragionamento scientifico è fatto dai giudizi sintetici a priori, la scienza deve incrementare la conoscenza, quindi feconda, deve valere per tutti, e quindi universale, e infine deve essere necessaria. E queste tre caratteristiche si trovano solo in questo tipo di giudizi.
Esistono anche giudizi analitici a priori e sintetici a posteriori, ma non sono scientifici.
"A (soggetto) è B (copula + predicato)" è un giudizio di base, e può diventare in tutti e tre i modi diversi.
Se è un analitico a priori, significa che il predicato B è già contenuto implicitamente nel soggetto. Non è fecondo. Sono dei giudizi deduttivi, ad esempio: "il corpo è esteso", sono solo delle tautologie, universali ma non feconde.
Invece, "sintetico" significo qualcosa che aggiunge qualcosa di nuovo, ovvero è fecondo. Gli analitici invece non derivano dall'esperienza, ma sono verità di ragione, dei ragionamenti logici. Si fondano sul principio di identità e non contraddizione.
I sintetici a posteriori, invece, anch'essi non sono scientifici, sono solo fecondi, ma non universali e non necessari. Ad esempio "il maglione è blu". Si può generalizzare, ma non universalizzare. Anche, ad esempio, "il corpo è pesante", sono giudizi situazionali che derivano dall'esperienza.
Per spiegare, invece, il fondamento dei sintetici a priori, Kant deve elaborare una nuova teoria della conoscenza.
La conoscenza è l'unione di forma e materia, secondo Kant. La materia, per Kant, è data dalla molteplicità delle impressioni sensibili. Per forma intende quel numero fisso di filtri mediante i quali il soggetto della conoscenza ordina e modifica la materia, l'esperienza.
Per forma fa l'esempio di chi nasce con degli occhiali blu, che non può togliere.
Detto ciò, Kant stravolge i tradizionali rapporti soggetto-oggetto. Nella filosofia precedente il soggetto deve adattarsi alle leggi dell'oggetto, mentre ora è l'inverso. È l'oggetto che ruota intorno al soggetto, che deve adattarsi alle leggi del soggetto.
Ognuno conosce la realtà a modo suo, rifacendosi ai suoi filtri.
Questa è la "rivoluzione copernicana" Kantiana. In virtù di questa rivoluzione potrà fondare la scienza sui giudizi sintetici a priori, ovvero filtrata. Una realtà indipendente da me non la conoscerò mai.
La scienza si può affermare feconda, universale e necessaria, proprio perché fenomenica.
È a priori proprio perché si fondano sulle forme a priori del soggetto, sulle leggi che ogni uomo ha.
Nella ragion pura si ha un estetica trascendentale, che studia le forme a priori, spazio e tempo; poi l'analitica che studia l'intelletto. E la dialettica, che studia la ragione.
L'estetica kantiana è trascendentale, ovvero studiando la sensibilità ne prende in esame le sue forme a priori. In Kant intuire significa conoscere sensibilmente, al contrario dell'intuizione intellettuale di Cartesio. Infatti, secondo Kant noi non potremmo mai conoscere il noumeno, ovvero la cosa in se, indipendentemente dal soggetto. Soltanto Dio può accedere al noumeno, poiché lui ha creato la realtà.
Lo spazio e il tempo sono anche chiamate da Kant "intuizioni pure", poi ne parla come "intuizioni empiriche".
Empiriche appunto perché funzionano, si basano sull'esperienza.
Lo spazio è la forma del senso esterno, e il tempo è la forma del senso interno, a cui da più importanza. Kant supera sia la concezione newtoniana che lockiana dello spazio e del tempo. Per Locke ad esempio anche lo spazio e il tempo derivano dall'esperienza. Newton invece ne aveva una visione metafisica, erano delle realtà ontologiche.
Per leibniz, spazio e tempo erano dei concetti che collegano tra loro le cose.
Solo Kant ne farà poi le forme a priori della sensibilità.
Nell'estetica Kant dice di trovare il fondamento della geometria (che si basa sul senso esterno) e della aritmetica (che si basa sul senso interno).
L'analitica viene da una sezione più vasta, ovvero la logica trascendentale, che include anche la dialettica.
Le categorie di Kant non sono quelle di Aristotele, ovvero le leggi dell'oggetto, ma sono le leggi del soggetto, le leggi dell'intelletto. Sono 12 proprio perché in Aristotele vi erano 12 giudizi, proprio perché per Kant conoscere significa giudicare. Conoscere per Kant significa conoscere in maniera determinante (è fatta da una forma e da una materia), mentre il pensiero è senza la materia. È per questo che il pensiero è semplicemente regolativo e non costitutivo, infatti serve solo per orientarsi nel mondo, e non per conoscere.
Nella dialettica, parla del "als ob" (come se); parla che tutti i fenomeni del mondo esterno possono riferirsi al mondo, tutto il mondo il Dio, e via dicendo. La metafisica, quindi, è solo un esigenza.
Solo l'intelletto è fornito di categorie per giudicare e organizzare l'esperienza.
Secondo Kant, quindi, la conoscenza inizia con l'esperienza, ma successivamente ha l'apporto formale della ragione umana. Divide la ragione in senso lato e in senso stretto. Quest'ultima, è quando l'intelletto va al di là dell'esperienza per cercare di comprendere gli "assoluti metafisici".
Il trascendentale in Kant ha a che fare soprattutto con lo studio delle condizioni della conoscenza.
Le categorie sono funzioni sintetizzatrici dell'intelletto, senza intuizioni sensibili le categorie sono vuote. E conoscere significa giudicare. Giudicare è mettere in relazione un soggetto con un predicato.
La teoria dell'errore in Kant la si trova della dialettica, ovvero che quando si vuole andare al dì là dell'esperienza non si può non cadere in contraddizione.
L'io penso è il centro dell'analitica trascendentale. È l'appercezione sintetico-trascendentale, è il centro dell'elaborazione delle categorie. È non altro che l'autocoscienza. Ciò che permette di dire "il mio pensiero", "il mio giudizio". È la base dei giudizi sintetici a priori.
L'io penso non è il cogito cartesiano, poiché mentre quest'ultimo è una sostanza, l'io penso non è sostanza, è solo una funzione critica attiva nel momento in cui faccio esperienza. Non si può quindi studiare l'io penso come una cosa, non è "l'anima".

Trascendentale = studio delle condizioni di possibilità dell'esperienza (conoscenza)
Spazio e tempo = giudizi universali e necessari.
La loro universalità non dipende dalla materia ma dalla forma.
Kant è un semi-innatista, per lui è innata solo la forma e non la materia.
L'estetica di Kant studia anche le forme a priori della sensibilità, ovvero spazio e tempo, è per questo che è detta trascendentale. Con la sensibilità si hanno le intuizione pure.
Nell'analitica Kant studia le forme a priori dell'intelletto, ovvero le categorie. Infatti Kant distingue sensibilità e intelletto, e intelletto e ragione.
L'intelletto è una facoltà analitica, la ragione è sintetica, con ambizioni metafisiche, una conoscenza totale.
L'intelletto ha 12 categorie che usa per giudicare, connettere i fenomeni tra loro. Queste categorie le ricava dai 12 giudizi aristotelici.
Si raggruppano in quantità, qualità, di modalità e di relazione. Non sono però come in Aristotele dei frutti astratti, ma sono funzioni sintetizzatrici dell'intelletto.
La comunicazione tra sensibilità e intelletto si ha attraverso la dottrina dello schematismo trascendentale, questa spiega il collegamento e il modo di questo collegamento tra i prodotti della sensibilità e le funzioni dell'intelletto.
Il "ponte" tra sensibilità e intelletto è dato dal tempo, il quale è omogeneo sia nella sensibilità sia nell'intelletto. Vi è il permanere invariato di una cosa nel tempo.
L'appercezione in Kant è direttamente riferita all'Io penso, è l'autocoscienza.
L'io penso è una funzione critica e un attività formale, dunque non è conoscibile. Cioè non può diventare oggetto della mia conoscenza poiché è solo ciò che rende possibile la conoscenza.
In Cartesio invece il cogito può conoscere se stesso come res cogitans.
Gli oggetti tradizionali della metafisica, Dio, l'anima, il mondo nella sua interezza, non sono oggetto di intuizione, non sono oggetto di elaborazione da parte dell'intelletto e quindi di conoscenza.
Il nuomeno per Kant è pensabile ma non conoscibile. Kant ha due concezioni del noumneo: una positiva e una negativa.
Secondo quella negativa: è ciò che non posso conoscere ma solo pensare. Essendo il nostro intelletto limitato e non intuitivo.
Positivo: il nuomeno è l'oggetto dell'intuizione intellettuale di Dio, ovvero se ci fosse un Dio questo avrebbe un intelletto intuitivo.
Per la metafisica trascendentale, l'idea di Mondo è la tendenza alla sintesi di tutte le conoscenze esterne, l'idea di Anima è la tendenza alla sintesi di tutte le conoscenze interne, Dio è la tendenza alla sintesi di tutte le conoscenze interne ed esterne.

Per Kant dialettica (che "inventò" Zenone), è la logica della parvenza, dunque lo studio delle antinomie della ragione, cioè indaga, esamina quelli che sono gli errori inevitabili in cui inciampa la ragione quando pretende di conoscere andando oltre la ragione stessa.
Per cui, la dialettica, è la ragione metafisica.
Parla di antinomie e non di errori poiché si tratta di errori inevitabili se si decide di procedere in un certo modo. Critica la psicologia razionale e la teologia razionale, che non potranno mai diventare scienza ma rimarranno nella metafisica.
Delle idee della ragione l'uomo ne fa un uso sbagliato, un uso costitutivo, determinante, con un aspirazione metafisica. Ha considerato, la metafisica pre-kantiana, il mondo, l'anima e Dio come tre cose e non come tre idee, come tre tendenze. Per Kant invece l'uso giusto da fare di queste tre idee è un uso regolativo.
Ragione dialettica, definita anche ragione teoretica pura. Anche la ragione ha delle sue forme a priori: Dio, l'anima e il mondo. Corrispondono ai tre oggetti della metafisica.
Abbiamo quindi le forme, ma ci mancano gli oggetti empirici, ovvero la materia.
Scardinando così la metafisica, si scardina anche la prova ontologica dell'esistenza di Dio. La psicologia razionale si riferisce all'idea di anima, la cosmologia razionale all'idea di mondo, la teologia razionale all'idea di Dio.
Queste tre Kant le considera pseudo-scienze, dice che la psicologia razionale incappa in una serie di ragionamenti sbagliati, di paralogismi, dove il termine medio, "anima", viene usato in modo scorretto.
Lo usa infatti in una doppia forma, o come sostanza, o come funzione. Riguardo invece la teologica, fa l'esempio dei talleri: "cento talleri nella mia mente non sono cento talleri nella mia tasca".

Critica della ragion pratica

Nella critica della ragion pratica Kant dirà che la ragion pratica deve essere sempre pura e non empirica, altrimenti avrebbe una morale eteronoma e non sarebbe una vera morale.
La ragion pratica per Kant è la volontà mossa da una ragione pratica pura.
Ragione teoretica = quella che "produce" conoscenza scientifica; ragione pratica = governa la pratica delle azioni, muove la volontà per determinare le azioni.
Non si identifica direttamente con la volontà, poiché ragione pratica e volontà sono due cose diverse.
Infatti la volontà non è sempre mossa dalla ragione pratica.
Kant dice che la vera ragion pratica è solo quella pura, e non quella empirica, che invece è "inquinata" dall'esperienza, dai sentimenti, etc.
Per Kant la legge morale è un fatto della ragione, è un qualcosa che non ha bisogno di essere dimostrata. La morale kantiana è una morale formale, ovvero non è una precettistica, tipo "questo è giusto, questo no". Non dice cosa fare, ma come fare quello che si fa.
La ragione pratica però può anche essere definita "intenzionalità". La morale kantiana si identifica con l'etica dell'intenzione.
La praxis però non può ridursi solo all'intenzionalità. Eterogenesi dei fini: quando volendo fare qualcosa, succede che si modifica, non si riesce a farla come si pensava.
La ragione è quindi di per sé stessa anche pratica. La voce della coscienza è un fatto della ragione.
La presenza della ragione si fa presente sotto forma di imperativi, di comandi. Questi sono diversi dalle "massime", che sono soggettivi (es: devo mangiare la mattina). I principi pratici oggettivi sono invece gli imperativi, che si distinguono in ipotetica (se vuoi esser promosso, allora devi studiare).
Quello categorico è un "devi" e basta, il dovere non è condizionato dall'esterno. Il dovere categorico è legge a se stesso.
La ragione, anche nell'ambito pratico, non dà la materia ma dà la forma. È qui che c'è la rivoluzione copernicana della ragion pratica.
La ragione teoretica dà la forma all'esperienza rendendola conoscibile. La ragione pratica indica le forme in cui bisogno volere l'azione. Quindi non il cosa fare, ma il come farla visto che ha come necessità l'universalità, la ragione è sempre vista dal punto di vista formale.
Per avere un azione morale e formale, è necessario che la ragione pratica rimanga pura.
Massime -> principio pratico soggettivo; Imperativi -> oggettivi.
La legge morale è sempre un imperativo categorico, non un imperativo ipotetico. Da quelli ipotetici scaturiscono le azioni legali. Diventa, nell'imperativo ipotetico, il dovere un mezzo, per raggiungere il fine.
Invece nell'imperativo categorico il dovere non ha un fine, ma è invece fine proprio a se stessa.
Mussen = dovere naturale, Sollen = dovere morale.
Il dovere naturale (tutti gli uomini devono morire), morale (devono essere buoni con gli altri). Il dovere morale presuppone la libertà, e riguarda quindi solo gli uomini.
Una morale è eteronoma quando è condizionata dall'esperienza esterna. La morale eteronoma si fonda sempre su imperativi ipotetici. Al contrario l'imperativo categorico è la stessa forma della legge morale.
La ragione pratica pura indica la forma in cui la volontà deve volgere l'azione.
Kant suggerisce delle formule generali della legge morale.
Il primo: la legge morale ci dice di agire in modo che la massima della nostra volontà possa valere sempre come principio di una legislazione universale.
Kant può essere definito come un pluralista anti-relativista. Pluralista perché cambia di volta in volta, ma anti-relativista poiché comunque si basa sulle stesse forme.
Dio, l'anima e la libertà diventano i tre postulati fondamentali della legge morale. Ammette l'esistenza di questi tre postulati partendo dall'autoevidenza. Poiché la stessa morale è autoevidente, anche i postulati li si ricava attraverso l'autoevidenza.
Il sommo bene è la somma di virtù e felicità. Diventano quindi fondamentali i postulati pratici dell'immortalità dell'anima e dell'esistenza di Dio, poiché su questa terra il sommo bene non si può conseguire su questa terra. Nella vita terrena il concetto di sommo bene è un concetto antinomico, e non realizzabile. Dio quindi deve esistere per garantire l'unione tra virtù e felicità, e l'immortalità dell'anima serve proprio perché solo in una vita al di là di quella terrena si può realizzare il sommo bene. Il sommo bene per Kant è il fine ultimi di ogni prospettiva morale.

Critica del Giudizio

Nella terza critica i giudizi non sono più determinanti, non più scientifici, ma riflettenti, i quali sono due, ovvero estetici e teleologici (teleologia = lo studio dei fini).
In quello estetico, si ha a che fare con l'idea della bellezza, sia della natura, sia delle opere d'arte. Mentre quello teleologico riguarda l'idea di finalità, applicata alla natura, e all'essere umano.
l'elemento fondamentale delle tre critiche, è il rapporto tra soggetto e oggetto (nella prima è teoretico-conoscitivo, nella seconda è pratica, nella terza estetico-teleologico).
Vi è un contrasto tra la prima e la seconda critica.
Nella prima le idee erano solo una tendenza alla sintesi, ma senza conoscibilità, sono solo delle esigenze, hanno un ruolo regolativo.
Nella seconda critica le idee diventano i postulati pratici della legge morale, e che per quanto indimostrabili, non possono essere messi in discussione poiché significherebbe annullare la legge morale.
Tale legge morale coincide con l'autoevidenza della ragione.
"postulati" appunto perché sono indimostrabili. È qui che c'è un contrasto netto con la prima critica.
La critica del Giudizio nasce proprio con l'intento di sanare questa contraddizione tra la prima e la seconda critica. Al centro della terza critica troviamo il Giudizio, che è una facoltà completamente autonoma diversa dalla ragione conoscitiva, e la volontà. Ha a che fare con il sentimento del Gusto. È un giudizio riflettente e non determinante. Non ha a che fare con il giudizio dell'intelletto.
Non è determinante perché non è conoscitivo, e si basano su concetti che non sono scientifici, ma riflettenti, regolativi, ma universali.
Kant non parla più di conoscenza inferiore (gnoseologia inferiore), ma parla di conoscenza estetica. La domanda fondamentale della terza critica è: "è possibile una concezione della natura che vada oltre la conoscenza fenomenica?".
Il rapporto che l'uomo mantiene con il mondo è quindi teoretico, morale, ed estetico.
Ad esempio, con un libro ci si chiede:
"ma quello che dice è vero o è falso?" -> rapporto teoretico;
"è giusto o è sbagliato quello che dice?" -> rapporto morale;
"è bello o è brutto?" -> rapporto estetico.
Il Giudizio, (notare il maiuscolo), è reso in italiano dal tedesco Urteilskraft, ovvero kraft = "forza, capacità" e urteil = "giudizio", quindi "facoltà del giudizio". Tale facoltà è detta facoltà del Gusto, dalla quale non scaturiscono giudizi conoscitivi ma riflettenti (o proiettivi).
I sintetici a priori, nella terza critica, vengono chiamati giudizi determinanti. Li chiama in questo modo per esprimere un concetto nuovo, ovvero è determinante perché determina attraverso le forme a priori, mentre il riflettente proietta sull'universale delle esigenze che sono nostre, che anceh se sono comuni comunque sono differenti per ognuno di noi.
Nel sintetico a priori abbiamo invece un universale e un particolare che si delimitano a vicenda. Quando si conosce si filtra, e cioè si delimita (è per questo che è chiamato determinante). Nel riflettente invece abbiamo solo il particolare e non l'universale; e, ovviamente, non è conoscitivo.
Nel giudizio riflettente la categoria non è nota, poiché il compito del riflettente è appunto quello di ricercare un universale che non è formale. Quindi non si cercherà una forma, ma un idea, ovvero una proiezione esigenziale di carattere puramente regolativo e non conoscitiva. Noi cerchiamo dagli oggetti una finalità che è in noi, ed essendo in tutti noi si riflette universalmente sugli oggetti, sulla natura, etc.
Avviene un adattamento estetico, attraverso l'Urteilskraft, dell'oggetto al soggetto.
Quando si proietta su un oggetto la propria esigenza di finalismo, si ha un giudizio riflettente estetico. Quando invece si proietta sugli organismi viventi, sarà di tipo teleologico.
Nel giudizio estetico Kant definisce il Bello, e cioè un qualcosa che provoca un piacere disinteressato.
Distingue infatti il piacere dal piacevole, il quale è invece dipendente dal soggetto. Esempio: "a me piace il caffè, a te no").
È, il Bello, un qualcosa di universale, poiché vale per tutti gli uomini. Kant dice che l'universalità estetica, non essendo l'universalità della scienza, è una pretesa all'universalità.
E, cosa più importante, la bellezza è la forma della finalità di un oggetto percepita senza la rappresentazione di uno scopo. Infatti, lo scopo non possiamo rappresentarlo, ad esempio, "perché piace qualcosa?". La bellezza non è altro che il modo in cui l'uomo sente la finalità del reale.
 

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