Leon Battista Alberti

De Pictura, De Statua e De re Aedificatoria: questi tre trattati parlano rispettivamente dell'arte pittorica, scultorea e architettonica.

Alberti presenta una peculiarità che lo distingue dagli altri rinascimentali: non nasce a Firenze ma a Genova. È di famiglia fiorentina, la quale partecipò alla congiura dei pazzi. La congiura fallì, e furono espulsi da Firenze. Alla fine dell'editto di espulsione viene riformato e può tornare a Firenze. Ogni tanto continuò a recarsi a Firenze, ma rimase in un rapporto di amore/odio con Firenze.
È una figura di intellettuale, oltre che grande architetto.

Scrisse i trattati, opere letterarie che spiegano da ogni punto di vista una determinata materia. Già nell'antica Roma si scrivevano trattati. Già Vitruvio scrisse il famoso De Architettura. Alberti scelse titoli latini per i suoi trattati proprio perché scriveva in latino. Era un fine conoscitore della lingua, e capace anche di parlarla efficacemente.

In questi trattati vi sono una serie di principi che fondano le basi dell'arte e dell'architettura non solo nel rinascimento ma nei secoli seguenti.
Nel De Pictura lui osserva ciò che i pittori rinascimentali facevano. Individua tre regole fondamentali, ovvero la presenza della prospettiva, la seconda, e cioè la capacità di modulare gli effetti della luce (il chiaroscuro). La terza, il principio d'ordine e razionalità, qual è la simmetria.

Il secondo trattato è quello del De Statua. Mentre il De Re Aedificatoria è molto corposo, il de Pictura di media lunghezza, e il de Scultoria è piuttosto corto.
Questo perché per rispetto verso Donatello, Alberti elenca solo poche fondamentali regole. Ad esempio, per essere artistica una scultura, essa deve essere qualcosa che non ha solo il compito di abbellire ma deve integrarsi nel contesto urbano. Assume quindi un aspetto spaziale. La scultura può essere vista da più punti di vista. Non esistono più punti di vista privilegiati, ogni punto di vista della scultura ha la sua importanza.

Il terzo trattato in 10 libri, si concentra su un principio che Alberti ritiene fondante, ovvero che il fine ultimo dell'edificio architettonico è quello che deve formare e strutturare la città. Una sua massima è: " se una cosa va concepita nell'articolazione degli spazi, come una piccola città, una città allora rappresenta una grande casa".
Commissiona ad una serie di pittori delle viste di città, che appunto raffigurarono visioni di città che rappresentano i concetti intorno ai quali Alberti va a ragionare, e che lo portano a disquisire sul concetto di città ideale. Nelle stesse pitture delle viste, si è scoperto che Alberti faceva prima lui uno schizzo a carboncino.

La città ideale tra utopia e sperimentazione

Pienza

Enea Silvio Piccolomini

L.B. Alberti
Bernardo rossellino

Ferrara

Ercole d'Este

Biagio Rossetti

Urbino

Duca di Montefeltro

Francesco di Giorgio Martini

 

Già Platone nella repubblica parla della città ideale. Nel rinascimento c'è la capacità di coniugare un pensiero speculativo-filosofico con un miglioramento delle tecniche artistiche e costruttive. Molti parleranno di città ideale, e disegnavano modelli di una possibile città ideale. E ci sono state anche alcune prove concrete di costruzione di una "città ideale".
Pienza è un piccolo borgo in Toscana, nel medioevo si chiamava Corsignano, e faceva parte di un importante famiglia toscana, i Piccolomini. Ad un certo punto uno degli esponenti più colti della famiglia, Enea Silvio, fa carriera e diventa papa (Pio II), e decide che il borgo dove era nato doveva assumere l'immagine di una città, e doveva esaltarne i caratteri e il nuovo ingegno della cultura dell'umanesimo, e inoltre lo ribattezza da Corsignano a Pienza. Chiede quindi ad Alberti di progettare la città. Dice, però, che può dirigere tutto (Alberti) ma non può trasferirsi a Pienza. Perciò, invia un suo amico fidato, Bernardo Rossellino. Di tutto il programma urbanistico comunque, si realizza molto poco. L'elemento fondamentale è la piazza principale, con la cattedrale, il palazzo Piccolomini, e due edifici più piccoli di carattere amministrativo. Tutto è quindi concepito come una sorta di agorà. La piazza e le facciate si conformano tutte ad unità di misura in proporzione tra loro. A destra e a sinistra della chiesa ci sono due stradine cieche, che si fermano su un belvedere, dove così si apre improvvisamente la città al paesaggio, alla campagna.

 A Ferrara si trova un altro esempio di città ideale. Ferrara si trova nella Val Padana, dominata dagli Este. Ad un certo punto manda i giovani rampolli a studiare nelle scuole di filosofia occidentale, con Marsilio Ficino.
Il più colto di questi giovani, Ercole, quando diventa il sovrano dei possedimenti della famiglia, decide che non devono più essere solo possedimenti rurali e agricoli, ma devono avere una città in piena regola che regola i commerci tra adriatico e tirreno. Si crea quindi un piano cittadino che ne raddoppia le dimensioni. Si affida, Ercole, all'architetto Biagio Rossetti. Tutto è studiato perfettamente: le strade orientate secondo il sorgere del sole, i palazzi hanno un altezza perlopiù uniforme. Tutto è quindi calcolato ai fini della viabilità.
Vi è poi Urbino, con al comando il duca di Montefeltro.
Siccome è una città molto frastagliata, costruita su  livelli diversi, il duca di Montefeltro decide che al centro della città vi sia un palazzo che al tempo stesso domini la città.
Chiama Francesco Giorgio Martini, che costruisce il palazzo ducale di Urbino. Molto alto, con da un lato le terrazze che dominano le campagne, e dall'altro lato il palazzo con davanti una grande piazza. I borghi medievali hanno sempre una costruzione centrale da cui si uniforma tutto il borgo: la chiesa.
Nel rinascimento, invece, alla sommità e al centro della città vi è il palazzo del signore, e questo è una delle principali differenze con il medioevo.

Leon Battista Alberti architetto

La teoria alla base del progetto

  • Palazzo Rucellai
  • Facciata di S. Maria Novella
  • Chiese di S. Sebastiano e S. Andrea
  • Tempio Malatestiano

Mentre Brunelleschi pensava che il progetto è solo una cosa di "base", Alberti fonda una teoria dell'architettura secondo la quale il progetto deve essere esaustivo di tutti i dettagli. In entrambi i casi ciò che appare interessante è l'approccio del tutto nuovo all'approccio tra teoria e prassi. La teoria presuppone sempre il modello della verifica, che presuppone la sperimentazione.

Alberti impegna la sua attività di architetto non solo a Firenze, ma in molti altri posti, confrontandosi con tecniche costruttive e materiali diversi. Tutti questi lavori sono confrontabili tra loro, grazie ad un terreno comune, ovvero la teoria. Il rapporto di odio-amore per Firenze fa si che almeno nei primi momenti viene guardato in modo sospettoso dai fiorentini, e ha difficoltà a trovare lavori professionali.

Affermava Alberti che la qualità dell'architettura doveva essere indipendente dal denaro ricevuto dai committenti.
Inoltre, la stessa bellezza non dipende neanche dalla preziosità dei materiali. La famiglia Rucellai, una famiglia caduta in disgrazia, gli commissiona un lavoro. I Rucellai riabilitati dopo la condanna dei Pazzi, tentano di risollevare la loro famiglia, e si rivolgono ad Alberti non solo perché erano amici, ma perché non potevano permettersi un grande esborso:  quindi il palazzo Rucellai sarà in muratura rivestita, senza marmo o pietra.

Nella lettera di Alberti a Rucellai, scrive un passo memorabile: La vera eleganza non sta nel mettersi in mostra, ma sta nella sobrietà. E un opera è bella quando gli abitanti che camminano lungo la città si rasserenano. L'architettura che si costruisce nella città, si deve armonizzare a quella esistente. Una cosa è costruire la casa degli uomini, una cosa è costruire la casa di Dio. Ovvero che una cosa è costruire un edificio pubblico, un'altra costruire un palazzo residenziale, e quest'ultimo ha da sempre avuto il compito di restituire sobrietà e tranquillità.

Come elemento base per le proporzioni, Alberti usa il quadrato. E dice a Rucellai, che siccome non si può avere un rivestimento prezioso, sarà il muro a parlare, attraverso i pieni e i vuoti (le finestre) del muro.
La finestra è un quadrato perfetto, suddiviso in 4 quadrati più piccoli. Sopra la finestra quadrata costruisce un arco, la cui altezza è pari alla metà di una finestra: tra una finestra e l'altra costruisce una lesena. La distanza tra una finestra e l'altra è pari ad una finestra. Il doppio dell'altezza del quadrato è pari all'altezza del piano. Le finestre piccole al piano terra sono pari ad un 1/4 della finestra.
Fa costruire, poi, dei sedili in pietra affianco le due entrate.

L'architettura di Alberti porta compimento alla commistione tra architettura greca e architettura romana. Si nota inoltre in Alberti una propensione all'architettura romana, si nota infatti la generale sobrietà in tutte le sue opere.

Alberti viene incaricato della ristrutturazione di Santa Maria Novella. Questa chiesa si trovava in una posizione strategica, vicino le porte della città. La vecchia chiesa era di stile medievale e non era decisamente adeguata a tutti i cambiamenti avvenuti nel rinascimento. Alberti quindi ha il compito di riprogettare la facciata della chiesa. Alberti, qui, ha a disposizione molto più denaro, che gli consente di rivestire tutta la facciata di marmo policromo (bianco, grigio, verde).
Alberti cerca di usare lo schema geometrico del quadrato per riprogettare la facciata.
Per prima cosa, misura la base, in modo da far si che la facciata sia iscritta in un quadrato. Calcola da qui l'altezza da dare al quadrato, e nota che l'altezza del quadrato è più alta rispetto al quadrato (infatti la chiesa medievale era più bassa); Alberti quindi decide di alzare l'altezza della chiesa, sistemando due volute laterali sul tetto, e al centro costruisce un quadrato, in parte con l'elemento rettangolare, e in alto un timpano triangolare. Sempre da qui fa scaturire le dimensioni degli archi a tutto sesto ai lati del portone, e infine sormonta il portone con un grande arco a tutto sesto e due colonne. Inoltre, sotto gli archi laterali lascia le nicchie a sesto acuto, unico rimando all'architettura medievale.

A Mantova, ha l'occasione di realizzare due chiese, S. Sebastiano e S. Andrea. Qui lui usa uno stile monumentale ma comunque sobrio. Concettualmente la cultura medievale arriva a compimento, finché arriva una nuova idea della visione del mondo, e tale momento è presentato dal ciclo che Giotto realizza ad Assisi. Qui infatti realizza il ciclo della vita di San Francesco. Si ha qui un idea di spiritualità che non è calata dall'alto, di un idea di umiltà, del rapporto con la natura. Questa visione francescana del cristianesimo porta a un idea del cristianesimo molto più sobria. Infatti, la chiesa di S. Sebastiano si distingue per l'assoluta povertà dell'edificio.
Si caratterizza per tre fasce: nella prima, ci sono tre porte centrali (bucature) e ai lati due scale che portano al secondo spartito, che è il vero ingresso della chiesa. Qui ci sono tre bucature al centro, quadrate, con la centrale più grande, e ai lati due bucature sormontate da un arco.

Infine nel terzo spartito v'è solo una finestra al centro. Il tutto dà un idea di grande sobrietà, ma al tempo stesso un idea di grande solidità. E proprio nel sistema di spartiti, inoltre, si vedono le analogie con il tempio greco. Le scalinate, lo spartito centrale, e infine il timpano in alto.

La chiesa di S. Andrea è invece molto più indirizzata all'elogio dell'architettura romana.

L'edificio si caratterizza per il suo ingresso monumentale centrale, che è un arco altissimo, con l'ingresso più dentro rispetto al muro, con una volta a cassettoni in alto.

Ed è qui che c'è una grande citazione a Masaccio, con l'arco sostenuto dalle colonne scanalate e ai lati le colonne lisce (invertite rispetto all'opera di masaccio), poiché le stesse colonne scanalate sono una citazione al tempio greco.
Il tempio malatestiano, costruito per la famiglia dei Malatesta nelle marche. Qui vuole realizzare un edificio di stampo romano, che però non viene completato. Vi sono tre archi, con al centro il portone rettangolare. Inoltre nelle facciate laterali vi sono una serie di archi come citazione agli acquedotti romani.

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