Letteratura Latina: schemi e mini-riassunti III liceo

Gli epici dell'età Flavia

Stazio

Prende l'Eneide come modello a cui ispirarsi. Scrive la Tebaide, l'Achilleide e le Silvae. Le Silvae sono un serie di schizzi in metri vari. È l'unica opera non epica di Stazio, e ha la particolarità di comunicare diversi elementi della moda e del gusto dell'epoca. In Stazio tutto ruota attorno alla figura dell'imperatore.
Si tratta di uno dei migliori poeti in età imperiale, che scrive una poesia molto colta e raffinata; che mira anche ad essere declamata nelle celebrazioni pubbliche (teatralità poetica)

Valerio Flacco

Scrive gli Argonautica, riscrivendo in due libri cioè che accadeva in un libro delle Argonautiche di Apollonio Rodio. Riprende l'elemento mitologico che si era perso con la Pharsalia, e tutte le vicende vengono elevate ad una scala di grandezza epica. Vi è, infine, una psicologizzazione del racconto, in quanto cerca di rendere il punto di vista di ognuno dei personaggi.

Silio Italico

Scrive i Punica, 17 libri riguardo la seconda guerra punica, e si tratta del più lungo epos storico a noi pervenuto. Ha due riferimenti fondamentali: gli Annales di Ennio, e il Bellum Paenicum di Nevio.
Anche Silio Italico restaura l'elemento mitico all'interno dell'epos storico, recuperando ciò che si era perso con la Pharsalia, e restaurando la poetica di Virgilio.

Genere epigrammatico

Marziale

Si dedica in particolar modo al genere epigrammatico dandogli notevole dignità a Roma, in quanto prima ci si limitava all'epigramma scommatico di Lucilio.
La sua poesia è contraddistinta in particolar modo dal realismo e dalla molteplicità dei temi trattati.
Usa l'espediente del "fulmen in clausula" mutuato da Lucilio. Usa una varietà di schemi, il cui principale sono due parti, la prima che porta ad una tensione che poi si scioglie nella seconda parte.
Usa un linguaggio molto vario, anche volgare, dicendo che però "lasciva est nobis pagina, vita nostra proba", e cioè che le opere non rispecchiano la vita dell'autore.

Restaurazione della retorica

Quintiliano

Fece importanti studi in retorica, e fu il primo insegnante ad essere pagato nella storia. Si concentrava soprattutto sul problema della decadenza della retorica a Roma, e per tale motivo scrisse l'Institutio Oratoria, un opera in 12 libri (primi due: insegnamento basiliare del retore, 3-9: aspetti tecnici, 10: modi di acquisire la facilitas, con annesso excursus storico-letterario sugli scrittori greci e latini, 11: la memoria, 12: rapporti tra principe e oratore), la quale stabiliva come doveva essere effettivamente la retorica, e cioè rifarsi alle idee di Cicerone, abbandonato lo stile moderno "viziato" senecano.
Bisogna rifarsi al docere, e non al movere, è importante non solo la forma, ma anche i contenuti, e non bisogna mirare solo al sorprendere l'interlocutore.
Polemica contro le sententie, che ora sono solo degli espedienti per chiudere in maniera brillante il discorso.
Riguardo i rapporti con l'imperatore, lo si interpreta solitamente come un funzionario subalterno all'imperatore, e dà la massima dignità professionale all'oratore. Vorrebbe riprendere come Cicerone uno spazio preciso per l'oratore, come guida per il popolo e per il senato, ma ciò è ormai impossibile.

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