Anche il pin’occhio vuole la sua parte – Capitolo 6 di 37

CAPITOLO 6

Pinocchio incontrò sei orche che suonavano un valzer nel paese affollato.
Formavano proprio una bella…Orchestra.

Era una nottata d’inverno. Tuonava forte e il tutto ricordava volentieri uno dei saggi del grillo parlante: “Pasqua con chi vuoi e Natale con i…tuoni.” Beh, infatti il natale non era poi così lontano, si poteva ammirare da lontano uno strano individuo che danzava contento. Era Babbo Natale che ballava la Macarenna…
Il cielo lampeggiava come se chiedesse la strada ed un pintone di vino si rompeva dopo aver subito uno…spintone. Ma sedendo e mirando, direbbe Leopardi, ecco che in una stalla vicino alla fontana, (la fon-tana è il rifugio degli asciuga capelli), una docile mucca si lavava nella “vacca da bagno”. E cosa dire poi di quelle donnine in fondo al viale. Erano tutte in cinta e per la gioia delle nascite future, si sbizzarrivano nel ballo…La famosa gravi-danza.
Si poteva scorgere da lontano un paese in fumo. Mentre nei prati delle campagne era severamente vietato fumare. La famosa “campagna contro il fumo”.
Quando Pinocchio giunse in paese, trovò tutto buio e deserto. Li vicino vi era una lampadina che giaceva su di un palo della luce; fu così che Pinocchio avendola notata le domandò: -Scusi sua luminescenza, ha notato che il paese è deserto?- -Non ne ero al “corrente”- Rispose la lampadina. –Ma scusi, non passa mai nessuno a questa ora di notte?- Chiese Pinocchio. –A VOLT.- Disse la lampadina.
Il povero Pinocchio aveva così fame che si sarebbe divorato un bue. Guarda caso, in un vicolo che dava sulla strada principale, passeggiava proprio un bovino.
Purtroppo la povera bestia portava un tremendo e pesante giogo al collo. Impietositosi dalla triste figura, Pinocchio eclamò: -Oh! Povero te, perché porti sul groppone un così lugubre fardello?- -Sapessi…- Rispose il bovino. –Intanto sono passati ormai più di trent’anni da quando suono il campanaccio ed ancora nessuno si è degnato di aprirmi; poi per colpa di una ignobile scommessa, persa alle carte, eccomi conciato per il resto dei miei giorni. Aveva ragione mia moglie: “Vaccasa, vaccasa, non andare al bar dopo il lavoro!”, mi diceva sempre mentre si lavava nella “vacca” da bagno. Ma adesso basta! Vado al bar e mi faccio togliere questa tortura perché, come dice il proverbio, il “giogo” è bello quando dura poco-.
Nel frattempo a causa del freddo e dell’umida sera, Pinocchio cominciava a subire i primi sintomi della febbre. Passava di lì per caso un indiano, il quale andava a caccia di scalpi, e nel vedere Pinocchio cercò a stento di intimorirlo: -Augh! Ehi tu, viso pallido!- -No, febbre a quaranta!- Rispose Pinocchio. –E poi, io non sono Ugo, vai a cercarlo da un’altra parte-. L’indiano, nel sentirsi preso in giro e non cedendo alle provocazioni, si infuriò amaramente: -Tu non sapere chi sono io, mio nome “Gufo robot”, grande capo di “tribù chi lo sa?”. Io prendere tuo scalpo prima che sorgere alba!- -Ma smettila buffone! Più che uno scalpo di posso dare uno scalpello, per rimanere in tema e fare la battuta; poi visto che sei un gufo, cioè un uccello non identificato, ti faccio arrestare per vagabondaggio!-
Le botteghe erano chiuse e Pinocchio aveva fame…
Camminando e rigirando incontrò un cavallo. L’equino andava in fretta e “furia”, doveva depositare dei soldi alla banca “Sella”. Poi Pinocchio incontrò una penna a sfera che rideva all’impazzata, se la rideva così tanto che Pinocchio spinto a curiosità esclamò: -Ma perché se la ride così di gusto signora penna?- -Oh! Guardi, l’inchiostro è così “simpatico”…- Rispose la penna…
Pinocchio continuava ad avere fame, peccato che mastro Geppetto non gli aveva fatto le unghie, avrebbe almeno rosicchiato qualcosa. Di lì a poco sopraggiunse uno scheletro, Pinocchio era in prossimità del cimitero e cimirimango. –Oh pover’uomo!- Esclamò Pinocchio alla vista del fantomatico tutto ossa e niente carne. –Ma come vi siete ridotto in questo stato?- -Guardi, non me ne parli. Qualche anno fa incontrai in una sera d’estate una deliziosa fanciulla. In poco tempo me ne innamorai. Lei mi baciò ed io “non rimasi più nella pelle”-. Annuì lo scheletro. -Lo dice a me che di disgrazie ne faccio collezione!- Disse Pinocchio. –Pensi, signore scheletro, mio nonno era in prigione e vestiva un vistoso camice con il codice a sbarre, gli mancavano due mesi ed avrebbe finito di scontare gli anni di prigionia; era pure analfabeta e purtroppo non sapeva “scontare”, al massimo “scontava” fino a dieci. Beh! Proprio sul più bello, gli viene una malattia e muore cessando di vivere…la “vari-cella”.
–A proposito…- Rimproverò Pinocchio. -Lo sa che è pericoloso girare da solo di notte? I banditi potrebbero fargli la pelle-. –Magari!?- Rispose lo scheletro. -Va beh! “Ossequi” alla signora.- Salutò Pinocchio…
La notte sembrava infinita, la fame bussava intrepida e lo stomaco pareva un deserto senza fine. Pinocchio preso a disperazione, si attaccò al campanello di una casa, (la fatica che fece a staccarsi, per la colla a presa rapida, era impressionante!). Era la casa del medico chirurgo “dott. Ernesto il bisturi lesto”. Quando il dottore si affacciò, ambaraba ciccì coccò, Pinocchio urlò: -Scusi, mi “apre” per favore?. –No, non posso, proprio oggi è il mio giorno libero-. Rispose il chirurgo.
Deluso e affamato, Pinocchio riprese il suo triste cammino.

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